martedì 27 maggio 2008

La lotta Biologica

La lotta biologica è una tecnica che sfrutta i rapporti di antagonismo fra gli organismi viventi per contenere le popolazioni di quelli dannosi. Questa tecnica si è evoluta a fini agronomici e in genere si applica in campo agroalimentare per la difesa delle colture e delle derrate alimentari, ma per estensione si può applicare in ogni contesto che richieda il controllo della dinamica di popolazione di un qualsiasi organismo.
Metodi di lotta biologica.
La lotta biologica può essere condotta con differenti strategie alternative. Non esiste una strategia più valida delle altre: ogni metodo va inquadrato in uno specifico ambito applicativo in relazione alla biologia delle specie interessate, alle peculiarità climatiche e ambientali in cui si opera, alla dimensione del contesto (estensione, soggetti coinvolti, ecc.).



Metodo protettivo.
Più che un metodo di lotta biologica è in realtà una strategia seguita nella lotta integrata per sfruttare il controllo biologico dei fitofagi. In generale il metodo protettivo s'identifica in un insieme di pratiche che hanno lo scopo di preservare la popolazione degli antagonisti naturali e favorirne il potenziale biologico. Fra queste pratiche rientrano:
il ricorso al metodo inoculativo per sopperire alla carenza di ausiliari selvatici;
il ricorso a trattamenti fitoiatrici ad elevata selettività allo scopo di ridurre l'impatto sull'artropodofauna utile;
la tutela della biodiversità, con particolare riguardo verso le piante alle quali sono associati ospiti alternativi.
Il metodo inoculativo si rivela necessario nei contesti in cui c'è un'effettiva debolezza dell'entomofauna utile. Questa situazione si può verificare nei confronti di uno specifico fitofago, quando il controllo biologico è eseguito efficacemente da una specie non acclimatata, oppure negli agrosistemi il cui grado di "naturalizzazione" è modesto, come ad esempio nelle fasi di conversione dall'agricoltura convenzionale alla produzione integrata. In altri contesti il metodo inoculativo può anche rivelarsi non necessario perché l'impatto della tecnica agronomica sull'entomofauna utile e sulla biodiversità in generale è basso. In ogni modo rientrano nel metodo inoculativo tutti gli accorgimenti tesi ad incrementare le popolazioni degli ausiliari.
Il ricorso ai trattamenti fitoiatrici a basso impatto è una direttiva obbligatoria, dal momento che il principale ostacolo al controllo biologico integrato è rappresentato dall'uso indiscriminato dei fitofarmaci e, soprattutto, di quelli a bassa selettività. Il rispetto della soglia di intervento è una condizione necessaria per ridurre il numero di interventi chimici e conservare nel contempo una base trofica necessaria a garantire il mantenimento degli ausiliari. Per quanto riguarda la selettività è opportuno ricorrere a principi attivi che non abbiano un ampio spettro d'azione, specie quando s'interviene in modo mirato nei confronti di una specifica avversità. Da questo punto di vista si rivelano particolarmente utili gli insetticidi di nuova generazione come i regolatori di crescita, che in genere hanno un'azione molto selettiva e a basso impatto sugli insetti utili. Gli insetticidi ad ampio spettro d'azione sono tuttavia ammissibili se il trattamento ha le prerogative di una selettività di fatto: ad esempio l'uso delle esche proteiche contro i Ditteri Tefritidi è una tecnica conservativa perché ha un modesto impatto sull'entomofauna utile.
La tutela della biodiversità è un punto cruciale delle produzioni integrate. Nel corso della seconda metà del XX secolo l'intensivazione degli agrosistemi ha portato ad una notevole semplificazione della loro composizione: la specializzazione degli ordinamenti produttivi nelle singole aziende e in interi comprensori, il ricorso alla monocoltura, l'eliminazione delle siepi e delle superfici boscate accessorie, la lavorazione degli incolti, il diserbo chimico con principi ad azione residuale, l'abbandono delle tradizionali sistemazioni idraulico-agrarie, molte delle quali contemplavano la presenza di filari di piante arboree nei seminativi, sono fattori concomitanti che hanno drasticamente ridotto la biodiversità vegetale e, di riflesso, hanno portato alla scomparsa o alla rarefazione dei Vertebrati e degli Artropodi utili. Dagli anni ottanta c'è stata un'inversione di tendenza soprattutto negli obiettivi dei programmi territoriali e di sviluppo delle Regioni e dell'Unione Europea, privilegiando gli orientamenti produttivi verso l'estensivazione, la rinaturalizzazione degli ambienti rurali, il ripristino e la tutela della biodiversità.
Vantaggi della lotta biologica.
Quando, a partire dagli anni cinquanta, si diffuse su larga scala il ricorso alla lotta chimica si evidenziarono i due punti di forza dell'uso dei fitofarmaci: l'incremento delle rese quantitative e le migliori caratteristiche merceologiche dei prodotti. Il controllo biologico, infatti, non consente l'abbattimento della popolazione dei fitofagi, perciò la persistenza di una certa percentuale di danno, sia quantitativo sia qualitativo, è da ritenersi fisiologica. A questi aspetti va aggiunta la semplicità operativa della lotta chimica e, soprattutto, la sua efficacia nel breve termine.
Questi aspetti spiegano la completa sostituzione, nei paesi ad agricoltura intensiva, del controllo biologico da parte del controllo chimico. La lotta chimica trovò difficoltà di applicazione solo negli ambienti forestali e in generale nei paesi in via di sviluppo, a causa del forte impatto economico di questa strategia.
L'uso indiscriminato di fitofarmaci a largo spettro d'azione (clororganici, fosforganici, carbammati), dotati di notevole persistenza (clororganici), di elevata tossicità acuta (fosforganici) o cronica (clororganici), ha in un secondo tempo messo in luce gli aspetti negativi della difesa chimica delle colture, aspetti che in generale si sono evidenziati nel lungo periodo, a distanza di alcuni decenni: a titolo d'esempio si possono citare l'accumulo dei residui ai vertici delle catene alimentari, il dissesto ecologico dovuto all'inquinamento delle falde acquifere e dei corsi d'acqua, l'incremento dei costi di produzione, l'incremento dei rischi sulla salute pubblica. Oltre a questi aspetti negativi ne vanno citati due di particolare rilievo nel contesto della difesa dei vegetali:
L'impiego indiscriminato di alcune categorie di fitofarmaci ha spesso indotto la comparsa di fenomeni di resistenza nelle specie ad alto potenziale riproduttivo, caratterizzate dalla successione di numerose generazioni nell'arco di una stagione (microrganismi patogeni e, fra gli Artropodi, acari e afidi). La resistenza, oltre a rendere inutile i trattamenti eseguiti, rende necessario il ricorso ad altri trattamenti e, spesso, a dosaggi più forti.
L'impiego di fitofarmaci ad alto spettro d'azione provoca una drastica riduzione delle popolazioni dei parassitoidi e dei predatori. La dinamica di popolazione di questi organismi ha ritmi di crescita più lenti rispetto a quelli dei fitofagi con conseguente difficoltà di ripristino delle condizioni iniziali. Cessato l'effetto del fitofarmaco si assiste inevitabilmente ad un'intensificazione degli attacchi dei fitofagi e, talvolta, all'insorgenza di attacchi da parte di specie considerate indifferenti perché efficacemente controllate - in condizioni normali - dagli antagonisti naturali.
Questi due aspetti spiegano il motivo per cui, nel lungo periodo, si è assistito ad un impiego sempre più crescente dei fitofarmaci parallelamente ad una insorgenza sempre più intensa delle avversità a danno dei vegetali: dall'inizio degli anni quaranta alla fine degli anni settanta, negli USA, il danno medio provocato dagli insetti sulle coltivazioni è aumentato dal 7% al 13%, il consumo di fitofarmaci, nello stesso intervallo di tempo, è aumentato del 1200%.
Tratto dal sito:
http://it.wikipedi.org/wiki/Lotta_biologica