venerdì 28 novembre 2008

Occhio di pavone

L'occhio di pavone è il più pericoloso tra i funghi. È la malattia più dannosa sull'olivo. Il fungo attacca tutti gli organi verdi della pianta ma soprattutto le foglie, dove produce delle macchie rotonde di 0,5-1 cm di diametro. Queste macchie sono all'inizio bruno-scure fuligginose; invecchiando divengono grigiastre al centro e si circondano di un alone giallo, tanto da assomigliare agli "occhi" delle penne della coda dei pavoni, da cui deriva il nome della malattia. Le foglie colpite ingialliscono in parte e cadono precocemente.
Lotta: poiché le infezioni sono favorite dalle piogge prolungate o da un'elevata umidità dell'aria e da una temperatura ottimale di 12-15°C si hanno due periodi dell'anno in cui sono maggiori i rischi nei riguardi di questa malattia: l'autunno e la primavera. I prodotti più efficaci sono i sali di rame e la poltiglia bordolese. Per entrambi il tempo di carenza è di 20 giorni.

Il D.Lgs. 81/2008 in campo agrario

L’ obbligo di applicazione del D.Lgs 81/2008 nelle imprese agricole

Nelle more delle future precisazioni ed interpretazioni giuridiche, al momento pare ragionevole formulare il seguente quadro riassuntivo per l’applicazione del D.Lgs nelle imprese agricole:

imprese individuali

Applicazione integrale del D.Lgs nei confronti dei lavoratori subordinati

Applicazione del solo art. 21 nei confronti del titolare se coltivatore diretto, e dei suoi collaboratori familiari

soci delle società semplici

Applicazione integrale del D.Lgs nei confronti dei lavoratori subordinati ed equiparati

Applicazione del solo art. 21 nei confronti dei soci che prestano la propria attività nella società

altre società

Applicazione integrale del D.Lgs nei confronti dei lavoratori subordinati

Applicazione integrale del D.Lgs nei confronti dei soci che prestano la propria attività nella società

GLI ADEMPIMENTI TRA AZIENDA E UNITÀ PRODUTTIVA

La serie di adempimenti di carattere organizzativo che il D.Lgs pone a carico del datore di lavoro non è riferita all’azienda nel suo complesso, bensì alla singola unità produttiva.

Il D.Lgs definisce l’unità produttiva come «stabilimento o struttura finalizzata alla produzione di beni o all'erogazione di servizi, dotati di autonomia finanziaria e tecnico funzionale».

Data la definizione, possiamo dire che l’assoluta maggior parte delle aziende agricole equivalgono ad una unica unità produttiva.

Nei casi in cui l’azienda agricola, sebbene diretta in modo unitario dall’imprenditore individuale o dalla società, sia articolata in più “punti produttivi” non interdipendenti fra loro sotto il profilo tecnico-funzionale, sarà necessario adempiere agli obblighi previsti dal D.Lgs in ciascuno di questi “punti”.

L’OBBLIGO DI VALUTAZIONE DEI RISCHI

I vari obblighi imposti al datore di lavoro che debba applicare il D.Lgs ruotano attorno ad un adempimento fondamentale non delegabile: la valutazione dei rischi.

Il D.Lgs prevede che tutti i datori di lavoro agricoli debbano provvedere alla valutazione dei rischi, ma stabilisce diverse modalità, come di seguito specificato, in funzione del numero dei lavoratori impiegati in azienda.

  1. del numero dei lavoratori impiegati in azienda (inferiore a 10; tra 10 e 50; oltre 50)

  2. di talune scadenze temporali (date di riferimento: 18° mese successivo alla data di entrata in vigore di specifici Decreti interministeriali; 30 giugno 2012)

  3. della presenza di talune tipologie di rischio (chimico, biologico, ecc.), per le quali il titolo specifico ribadisce l’obbligo di una valutazione nella quale vengono, una volta individuati i rischi, esplicitati i criteri utilizzati per la relativa valutazione, evidenziando con ciò l’impossibilità dell’autocertificazione

Di seguito si descrivono alcuni degli scenari possibili:

1. Per i datori di lavoro agricoli che assumono non più di 10 lavoratori:

  1. fino alla scadenza del 18° mese successivo alla data di entrata in vigore del Decreto intermini-steriale (di futura emanazione) che individuerà le procedure standardizzate secondo cui ef-fettuare la valutazione dei rischi

  2. comunque non oltre il
    30/06/2012:

    è possibile autocertificare per iscritto l'avvenuta effettua-zione della valutazione dei rischi e l'adempimento degli obblighi ad essa collegati
    .

L'agevolazione è del tutto evidente: occorre comunque valutare i rischi presenti in azienda e programmare le azioni necessarie ad eliminarli o quantomeno a ridurli, ma questi adempimenti possono essere certifi-cati con una dichiarazione scritta da parte del datore di lavoro.

  1. oltre la scadenza del 18° mese successivo alla data di entrata in vigore del Decreto interministe-riale (di futura emanazione) che individuerà le procedure standar-dizzate secondo cui effettuare la valutazione dei rischi

  2. comunque dal 01/07/2012:
    dovrà essere elaborato un documento scritto
    , basato sulle indicazioni derivanti da tali procedure

Sia il documento scritto che l'autocertificazione debbono essere conservati in azienda e resi disponibili, anche mediante invio, al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza.

2. Per i datori di lavoro agricoli che assumono lavoratori subordinati in numero superiore a 10 ma inferiore a 50, nelle cui aziende non si svolgano attività che espongano i lavoratori a rischi chimici, biologici, da atmosfere esplosive, cancerogeni, mutageni, connessi con l’esposizione ad amianto.

Stato attuale: il datore di lavoro è tenuto ad elaborare un documento scritto (art. 28) contenente:

  1. una relazione sulla valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute durante il lavoro, nella quale sono specificati i criteri adottati per la valutazione stes-sa

  2. l'individuazione delle misure di prevenzione e di protezione e dei dispositivi di protezione indivi-duale conseguente alla valuta-zione dei rischi

  3. il programma delle misure rite-nute opportune per garantire il miglioramento nel tempo dei li-velli di sicurezza.

Dopo l'emanazione del decreto interministeriale (di futura emana-zione) che individuerà le procedure standardizzate di cui al punto 1, tali aziende potranno giovarsi della possibilità di redigere il documento di valutazione dei rischi secondo tale semplificazione.

3. Per i datori di lavoro agricoli che occupano lavoratori subordinati in numero superiore a 10 ma inferiore a 50, nelle cui aziende si svolgano attività che espongano i lavoratori a rischi chimici, biologici, da atmosfere esplosive, cancerogeni, mutageni, connessi con l’esposizione ad amianto; Per i datori di lavoro agricoli che occupano lavoratori subordinati in numero superiore a 50:

Il D.Lgs 81/2008 deve essere applicato integralmente, con redazione del documento di valutazione secondo art. 28.

Infine, nel caso delle imprese agricole con oltre 50 addetti, o di imprese con lavorazioni ad alto rischio, il D.Lgs 81/2008 dovrà essere applicato integralmente.

COME "CONTARE" IL NUMERO DEI LAVORATORI

Pur rammentando che l’applicabilità del D.Lgs supera i confini del lavoro subordinato, e che è sufficiente la presenza in azienda di un solo lavoratore subordinato per una sola giornata nell'anno per far sì di rientrare nell’ambito dell’applicazione del D.Lgs, esistono alcuni punti di quest’ultimo che dovranno essere applicati in funzione del numero di lavoratori; si tratta:

  • della possibilità di autocertificare o di utilizzare le procedure standardizzate per la redazione della valutazione dei rischi (art. 29)

  • dell’esigenza di effettuare la riunione periodica

  • dell’opportunità di eleggere il R.L.S.

  • dello svolgimento diretto del datore di lavoro dei compiti di prevenzione e protezione dai rischi (art. 34).

La misura dello stato ambientale dei corsi d'acqua.

Lago Coghinas - Berchidda


Lo stato ambientale dei corsi d'acqua si determina combinando alcuni indicatori:


  1. LIM - Livello di inquinamento da Macrodescrittori: misura l'inquinamento di natura Organica;
  2. IBE - Indice biotico esteso: misura gli effetti dell'inquinamento sulle colonie di macroinvertebrati che vivono sul fondo del corso d'acqua. La mancanza di alcune colonie è sintomo di cattiva salute. Gli indici LIM e IBE determinano lo stao ecologico (S.E.), che descrive le caratteristiche dell'ecosistema acquatico;
  3. Stato chimico dell'acqua: quantifica la presenza di sostanze pericolose e le prorietà chimiche.
Dalla classificazione effettuata solo in base allo stao ecologico la situazione ambientale dei corsi d'acqua Sardi non appare critica: il 72% dei corsi d'acqua si trova infatti in condizioni definite "buone" o "sufficienti".

Cocciniglia mezzo grano di pepe

È la cocciniglia più comune sull'olivo. La femmina adulta (dalla forma caratteristica a mezzo grano di pepe) è di colore marrone scuro e lunga 3-4 mm, si suppone che sia una specie partenogenica, cioè depone le uova fertili senza accoppiamento, visto che non si è mai trovato il maschio. Le femmine sono molto feconde e possono deporre da 200 a 1.000 uova, delle quali una buona percentuale non si schiudono. Da quelle feconde nascono delle neanidi, piatte, ovali, allungate, di colore giallo crema, che all'inizio si muovono in cerca di alimento, dopo la seconda età si fissano lungo le nervature delle foglie e sui giovani rametti. Dal mese di maggio si trasformano in femmine adulte, che poi depongono le uova sotto lo scudetto, mentre il loro corpo si riduce progressivamente e poi muore, mentre gli scudetti rimangono a lungo attaccati ai rametti ed alle foglie proteggendo le uova. Questa cocciniglia è dannosa all'olivo sia direttamente, perchè succhia la linfa facendo deperire le piante, sia indirettamente per l'emissione di melata, sostanza dolciastra su cui si sviluppa la fumagine con riduzione dell'attività vegetativa, della fioritura e della fruttificazione causando poi le defogliazione ed il dissecamento dei rami specialmente ove la veggetazione è più folta.

mercoledì 26 novembre 2008

Pesticidi e fitofarmaci/fitosanitari


I fitofarmaci sono sostanze che, intervenendo nel ciclo biologico di un vegetale modificano la produzione o agiscono come farmaci per la cura di alcune malattie. I pesticidi inibiscono o uccidono organismi dannosi, si identificano come dei veleni: la loro funzione specifica. Questi prodotti sono composti chimici studiati per eliminare la "peste" dei campi, ad es. gli insetti parassiti, le muffe e le malerbe infestanti.
Possone essere assorbiti per inalazione, per contatto cutaneo, o attraverso l'apparato digerente.

La tignola della vite


Larva di tignola della prima generazione che fuoriesce dalla propria tela

Area di distribuzione

La tignola della vite, Eupoecilia ambiguella, è un tortricide. Essa si adatta molto bene ai climi relativamente freddi e umidi al contrario della tignoletta (Lobesia-botrana) che sembra preferire le regioni calde e secche.

Descrizione
La farfalla che misura da 12 a 15 mm d’apertura alare, ha le ali anteriori gialle barrate da una banda brunastra molto visibile. Le uova a forma di piccola lente variano da 0,6 a 0,9 mm di diametro e sono di colore dal giallo limone al giallo aranciato, con dei riflessi iridati. La larva della tignola è di colore rossastro con testa nera. Alla fine dello sviluppo, misura da 10 a 11 mm; i movimenti sono piuttosto lenti. La crisalide è tozza, di colore dal bruno giallastro al bruno rosso e misura da 5 a 8 mm di lunghezza.

Piante ospiti
In base ai dati bibliografici, la tignola è molto polifagia poiché la si può trovare su una trentina di piante appartenenti in particolare ai generi Vitis, Parthenocissus, Clematis, Cornus, Lonicera, Viburnus, Ligustrum, Ribes, Prunus, Crataegus spp.
Biologia e danni
Le farfalle, nate dalle crisalidi che hanno passato l’inverno in un bozzolo sotto la corteccia, compaiono nei vigneti a partire dalla metà di aprile o all’inizio di maggio ed hanno costumi notturni. Il volo dura da 3 a 5 settimane. Dopo l’accoppiamento, le femmine della prima generazione depongono da 40 a 60 uova sulle caliptre fiorali o sui peduncoli. Dopo 10-15 giorni, le piccole larve escono dalle uova per penetrare in un bottone fiorale, poi confezionano un glomerulo o nido (ammasso di molti fiori riuniti da fili di seta). L’incrisalidamento inizia dopo la fine della fioritura e dura 10-14 giorni. Le farfalle della seconda generazione appaiono generalmente a partire da inizio luglio. Il secondo volo dura da 3 a 6 settimane.
Le uova sono deposte sugli acini o sui peduncoli. Dopo 7-10 giorni le giovani larve escono dalle uova e penetrano direttamente negli acini; fino alla fine del loro sviluppo, le larve attaccano più acini contigui. Le erosioni provocate dalle larve facilitano lo sviluppo del marciume grigio (Botrytis cinerea) che può danneggiare tutto il grappolo. Le condizioni meteorologiche, il vitigno, il clone, le concimazioni e le operazioni di gestione della vegetazione, influiscono sui danni delle tignole dell’uva inducendo una diversa evoluzione del marciume grigio. Più il grappolo è compatto, più i danni delle larve favoriscono la muffa grigia.

Mezzi di monitoraggio
La trappola sessuale permette di seguire lo svolgimento del volo e di stimare orientativamente il rischio. Contribuisce a determinare il momento ottimale per effettuare una stima degli attacchi o l’opportunità di posizionare un trattamento. L’esperienza in Svizzera ha dimostrato che se le catture della prima generazione non superano 100 adulti di tignola per trappola, per tutta la durata del volo, non è necessario trattare. Al momento del secondo volo, la trappola aiuta soprattutto a posizionare il trattamento.

Valutazione dell’attacco
In prima generazione, gli attacchi sono rilevabili dallo stadio H (prima della fioritura) e sono visibili durante e immediatamente dopo la fioritura. Secondo il vitigno e l’annata, la soglia di tolleranza è di 30-50 glomeruli per 100 grappoli (oppure dal 20 al 40% di grappoli attaccati). In seconda generazione, la soglia di tolleranza è nettamente più bassa a causa del rischio di marciumi. Essendo la lotta essenzialmente preventiva ha come scopo il mantenimento dell’attacco a un livello contenuto.

Lotta

La lotta può essere generalmente evitata in prima generazione perché la soglia di tolleranza è elevata. Al contrario essa è spesso necessaria in seconda generazione e i mezzi tecnici di intervento sono numerosi: la lotta con la tecnica della confusione è un metodo preventivo specifico da riservare ai vigneti di più di 10 ettari o ad appezzamenti vitati isolati di almeno un ettaro. Il Bacillus thuringiensis (Bt) è un insetticida biologico selettivo da applicare all’inizio della schiusa delle uova della seconda generazione.





Adulto di tignola,Eupoecilia ambiguella

Norme di sicurezza nell'uso dei fitofarmaci in agricoltura

Preparazione delle miscele
Indossare indumenti protettivi;
Utilizzare recipienti appositi;
Operare all'aperto o in ambienti aereati;
Durante le operazioni tenere lontano i bambini;
Evitare che gli animali siano presenti durante la preparazione o vengano a contatto con i materiali usati.

Impiego
Non mangiare, bere, fumare durante i trattamenti;
Non operare contro vento;
Non impiegare il prodotto in prossimità dei corsi d'acqua;
Non effettuare trattamenti quando piove;
Lavarsi accuratamente in caso di contatto con il prodotto;
Non contaminare alimenti o bevande;
Impiegare il prodotto solo sulle colture autorizzate;
Lavare le attrezzature dopo l'uso.

Stoccaggio
Conservare i prodotti fitosanitari in ambienti asciutti ed aerati;
I luoghi destinati al magazzino devono esere inaccessibili ai bambini, alle persone estranee e agli animali;
I luoghi destinati al magazzino dei fitofarmaci devono essere lontani da derrate alimentari e bevande.

Smaltimento dei contenitori
I contenitori svuotati devono essere lavati almeno 3 volte e l'acqua di lavaggio usata per il trattamento fitosanitario;
I contenitori non vanno dispersi nell'ambiente ma devono essere smaltiti secondo le norme vigenti.

Gli ecosistemi costieri.

La Sardegna possiede 1.900 km di coste, di cui il 75% è costitutito da scogliere alte, frastagliate e a picco sul mare, ed il 25% da spiagge sabbiose e ghiaiose. Le coste in Sardegna sono ambienti molto fragili e soggetti a molti rischi, causati principalmente dalle attività economiche dell'uomo. Solo il 18% del litorale è urbanizzato, ma l'urbanizzazione dei centri urbani ed un eccessivo carico turistico sono una costante minaccia. Gli ecosistemi costieri sono costituiti dal susseguirsi di spiagge, cale, anfratti rocciosi, pareti a picco sul mare e dune sabbiose che collegano il mare con l'entroterra. Le coste, siano esse sabbiose che rocciose, sono continuamente oggetto di fenomeni di genesi e distribuzione operati dalle onde e dalle maree. La flora che vegeta gli ecosistemi costieri Sardi costituisce la macchia mediterranea tipica; qui dominano il lentischio, il rosmarino, l'origano, l'elicriso, il mirto, il ginepro, il corbezzolo e i pini. Tra gli animali caratteristici si trovano mammiferi ed uccelli acquatici (fenicotteri rosa, gabbiani, aironi, cavalieri d'Italia e grifoni).

lunedì 24 novembre 2008

La peronospera

CICLO BIOLOGICO: Sverna con le oospore (fruttificazioni sessuate) nelle foglie infette cadute nel terreno. In primavera, quando la temperatura media giornaliera si aggira sui 10-12° C e cadono almeno 10 mm di pioggia in 24 ore, le oospore germinano liberando le zoospore che, con gli schizzi della pioggia giungono sulle foglie. Qui, in presenza di un velo d'acqua, emettono un tubo micelico che penetra attraverso gli stomi, presenti solo nelle foglie dei germogli lunghi almeno 6-10 cm., avviando così un'infezione primaria. Segue un periodo di incubazione durante il quale si sviluppa il micelio del fungo. Al termine di questo periodo, la cui durata è legata al tasso di umidità dell'aria e alla temperatura, compaiono "macchie d'olio" sulla pagina superiore e una muffa biancastra sulla pagina inferiore costituita da rami conidiofori portanti i conidi che fuoriescono dalle aperture stomatiche. Con i conidi si realizzano le infezioni secondarie che necessitano un limitato tempo di bagnatura degli organi suscettibili (2-3 ore). Con temperature ottimali sui 18-24° C e in soli 30-45 minuti si ha la germinazione dei conidi con evasione delle zoospore dopo 30-40 minuti che germinano e realizzano l'infezione in 60-80 minuti. Annualmente si compiono 5-15 cicli peronosporici.
Nelle infezioni tardive compaiono macchie fogliari poligonali (peronospora a mosaico) delimitate dal reticolo delle nervature.
Si tratta di un fungo della famiglia delle Peronosporaceae: la Plasmopara viticola; colpisce in prevalenza la vite e alcune piante orticole, si può trovare anche sulle rose e su molte piante ornamentali.
le foglie e si manifesta con delle macchie traslucide, che sembrano di olio, sulla pagina superiore, che spesso vengono seguite, in corrispondenza sulla pagina inferiore, da macchie di muffa giallastra, soprattutto se l'umidità è elevata.

Con il procedere del tempo la malattia si diffonde ai boccioli dei fiori e ai germogli, che si ricoprono di muffa bianco-giallastra. I tessuti colpiti da Peronospora disseccano e cadono.
Prima della caduta sulle foglie il fungo rilascia delle oospore, che rimangono sulle foglie cadute, dove passano l'inverno, e infettano le piante l'anno successivo.
Difficilmente si può arrivare alla morte dell'intera pianta, però ovviamente si ha un forte deperimento della vegetazione, accompagnato da scarsa produzione di fiori e di frutti.Peronospora - Parassiti e Malattie
Questa malattia è favorita dall'elevata umidità e dalle temperature primaverili; le maggiori infezioni avvengono in periodi che presentano la cosiddetta regola dei tre 10: germogli di 10 cm, pioggia di 10 mm in 24-48 ore, temperatura minima 10°C; in presenza dei tre elementi precedentemente elencati si procede a trattamenti preventivi, irrorando le colture con prodotti specifici contro la Peronospora come la poltiglia bordolese, o prodotti a base di rame. Questi prodotti sono utili anche per contenere l'infezione già in atto.
Essendo la Peronospora una malattia molto dannosa per le coltivazioni, soprattutto per la vite, in molte regioni gli organismi preposti praticano un monitoraggio dello sviluppo della malattia.

LOTTA: fino alla pre-fioritura se non compaiono le prime "macchie d'olio" non effettuare alcun intervento; in caso contrario intervenire subito dopo la comparsa dei sintomi. Effettuare, comunque due trattamenti cautelativi in prefioritura e all'allegagione con antiperonosporici endoterapici (fenilammidi). Nelle altre fasi fenologiche, se non sono comparse le "macchie d'olio" non eseguire alcun intervento, in caso contrario è importante la tempestività dei trattamenti, l'utilizzo di acqua a pH non alcalino e le perfette condizioni della macchina irroratrice utilizzata. Sono consigliati 1-2 trattamenti con Cimoxanil entro 2 o 3 giorni dalla pioggia infettante (persistenza 3-5 giorni), per sfruttare la capacità di bloccare le infezioni in atto, da far seguire, se necessario, da applicazioni di fenilammidi (persistenza 10-12 giorni); dimetomorf, iprovalicarb, tutti in miscela con fungicidi di copertura. I trattamenti devono essere cadenzati sulla base della pressione della malattia e proseguiti sino a quando le condizioni meteorologiche sono favorevoli alla malattia (pioggia e/o alta umidità relativa). Nel mese di agosto-settembre , 1-2 applicazioni di derivati rameici controllano le infezioni tardive ("macchie a mosaico") ed aiutano anche a limitare le varie forme di marciume dei grappoli.


Le specie a rischio in Sardegna

  • Il Ribes Sardo
Endemismo Sardo esclusivo del supramonte di Oliena con areale puntiforme di estensione limitatissima (si stima la presenza di circa 70 esemplari). Risulta infatti segnalato solo presso la località di Su Padru (Oliena - NU) a una quota compresa tra i 1.050 e i 1.100 m s.l.m. La specie è in gravissimo pericolo sia perchè è presente solo in una stazione soggetta a un pascolo brado non controllato, sia perchè mostra una scarsissima capacità germinativa che ne pregiudica la colonizzazione dei territori limitrofi o la diffusione in altri habitat similari.

  • Il Grifone
Un tempo la specie era diffusa su tutta l'isola; purtroppo oggi ci sono circa 60-70 individui con 20-22 coppie nidificanti localizzate nei territori di Bosa e di Alghero. E' in grado di effettuare lunghi spostamenti alla ricerca del cibo. L'habitat ideale è l'ambiente aperto, sia montano che collinare, dove può localizzare le carogne e nidificare tra gli spuntoni di roccia. L'abbandono della pastorizia errante è una delle cause del declino della specie.

Tecniche di uso dei feromoni

I feromoni sono sostanze prodotte da specifiche ghiandole esocrine degli insetti dette ghiandole a feromoni.
Il secreto di queste ghiandole consente, all' insetto che lo produce, di segnalare la sua presenza a insetti della stessa specie: i feromoni sono pertanto da considerarsi come messageri chimici tra insetti cospefici nell' ambiente.
In alcuni casi i feromoni possono diventare involontari messaggeri interspecifici, come ad esempio succede per alcuni entomofagi che possono capore il feromone ( anche sessuale) della loro vittima e servirsene per localizzarla (in questa casistica il feromone diventa utile solo per l' entomofago).
L' impiego di queste sostanze è ormai consolidato nella lotta guidata contro i fitofagi; vengono utilizzati feromoni di tipo sessuale e quelli di tipo aggregante/disperdente.
La possibilita di ottenere, per sintesi, i feromoni ha certamente determinato lo sviluppo di questa tecnologia che è praticata, con discreto successo, nella difesa dei magazzini, nel controllo e nel monitoragio della popolazione fitofaghe dei frutteti, delle coulture ortive ed industriali, dei vivai e degli ambienti forestali.
I feromoni utilizzati nella pratica fitoiatrica sono in genere quelli di tipo sessuale, cioè quelli emessi dalle femmine vergini di una determinata specie (prevalentemente lepidotteri) per attirare i maschi cospefici e favorire l'accoppiamento, riducendio i tempi di incontro fra i sessi e velocizzando il ciclo riproduttivo.
Nell'utilizzo dei suddetti feromoni sono stati individuati due obbietivi oppsti:
attrazioni e cattura, per effettuare catture massali o di monitoraggio dei fitofagi (maschi) in apposite trappole sessuali;
disorientamento o confusione sessuale, per annullare o ridure la possibilità di avvicinamento riprodutivo fra maschi e femmine.

Lotta integrata

La lotta integrata, è basata nel rispetto di tutte le norme ecologiche tossicologiche; essa consiste in una applicazione razionale di un complesso di misure biologiche, chimiche, colturali, con i quali si limita al minimo indispensabile l'impiego di prodotti fitosanitari contenenti sostanze chimiche, per mantenere i parassiti a livelli inferiori a quelli che provocano danni o perdite economicamente accettabili.
Per detterminare la giusta epoca del trattamento antiparassitario e il prodotto più idoneo da usare, è opportuno riccorrere ad un aiuto di un tecnico specializzato.

Per il contenimento degli attacchi della mosca delle olive, con tecnica a basso impatto ambientale, si fa uso di opportune trappole.
Queste trappole, circa una ogni due piante, fatte di materiale sintetico, contengono all'interno un attratore sessuale (feromone) di tipo diverso a seconda di cosa si vuole catturare maschi o femmine, mentre all'esterno contengono un inetticida.

venerdì 21 novembre 2008

La Biodiversità in Sardegna.

La Sardegna è un territorio molto ricco di biodiversità: vi si trovano il 37% delle specie vegetali e il 50% dei vertebrati presenti in Italia. Inoltre, essendo un'isola, la discontinuità terra-acqua pone dei limiti ben precisi alla distribuzione della specie rendendo le sue comunità pressochè chiuse ad interazioni ecologiche con l'esterno. Ne deriva che la Sardegna è ricca di endemismi ovvero di specie vegetali e animali che si trovano solo in questo territorio. Sono presenti infatti più di 200 specie di vertebrati endemiche, tra i quali ricordiamo: l'euprotto Sardo (euproctus platycepalus), il geotritone dell'Iglesiente, il discoglosso Sardo, la lucertola tirrenica di malarotto, la biscia dal collare, la cinciallegra Sarda, la ghiandaia Sarda, il cervo Sardo e il ghiro Sardo. Altre specie non endemiche, ma comunque piuttosto rare sono: il pollo sultano (di origine etiopica), il gabbiano roseo e il fenicottero rosa, entrambi nidificanti nelle zone umide di Cagliari (stagno di Molentargius e di Cagliari), mentre nelle zone umide di Olbia e San Teodoro svernano. L'attività antropica è spesso causa di modificazioni ambientali che sono un grave pericolo per la biodiversità. E' stato stimato che nel mondo siano presenti dai 5 ai 100 milioni di specie, ma di queste soltanto 1 milione e 700 mila sono state identificate e descritte. Il tasso naturale di estinzione è stimato in circa una specie all'anno. L'antropizzazione determina un tasso annuale diecimila volte superiore. Ciò vuole dire che ogni ora sulla terra scompare almeno una specie.

Testo tratto da "Sardegna Sostenibile - Manuale didattico sulla sostenibilità ambientale in Sardegna" - Regione Autonoma della Sardegna.

Storia della viticoltura e vini della Sardegna.

Vitigni di tipo Vermentino in Gallura (Su Canale-Monti)



Fino a pochi anni fa, sull’origine della cultura della vite in Sardegna, si avevano notizie molto frammentate: alcune fonti ritenevano che si fosse sviluppata autonomamente, altre invece, che fosse stata introdotta dai Fenici o dai Cartaginesi, altre ancora sostenevano che pure durante il periodo romano tale coltura era ben conosciuta. Secondo le più recenti scoperte, sembrerebbe invece che già durante la civilizzazione nuragica i sardi coltivavano la vite e conoscevano il vino, ed il Cannonau, secondo gli studiosi, sarebbe uno dei vini più antichi del Mar Mediterraneo, se non il più antico, mentre il nome di un altro celebre vino sardo, la Vernaccia, sembra che derivi dal latino vite vernacula, quindi originaria del luogo, come scriveva lo storiografo romano Marco Giulio Columella; altri studiosi sostengono anche che esistono riscontri storici sull'esistenza del celebre vino già nella città Tharros, l'antichissimo centro punico-romano di cui oggi restano maestose vestigia.Dopo il periodo oscuro del Medioevo, la coltura della vite in Sardegna conobbe un nuovo sviluppo, principalmente nella zona di Oristano e soprattutto grazie all’opera di Eleonora d'Arborea, la famosa giudicessa autrice di una illuminata raccolta di leggi (Carta de Logu) che prevedeva tra l’altro il divieto di tenere vigneti mal coltivati. Negli anni successivi la viticoltura sarda continuò a prosperare, rimanendo comunque sempre confinata ad un consumo locale.
Un grosso incremento, con conseguente diffusione al di fuori dell’isola, si ebbe grazie all’impegno di un’importante azienda privata, la Sella e Mosca, i cui fondatori erano di origine piemontese.Per quanto riguarda le caratteristiche generali della viticoltura sarda, a fronte dei vitigni autoctoni (quali ad esempio il Nuragus, la Vernaccia, il Cagnulari, tipico del sassarese e sicuramente il Cannonau), i vitigni più diffusi sono quasi sicuramente di origine continentale come il Torbato provenienti probabilmente dalla Spagna, il Vermentino ed il Malvasia dal Portogallo, il Sangiovese dall’Italia.
Attualmente la Sardegna produce numerosi vini di elevata qualità, apprezzati per le loro tipiche caratteristiche organolettiche (sono vini di buon corpo, freschi ed aromatici); ad oggi si contano un vino a Denominazione di Origine Controllata e Garantita (Vermentino di Gallura) e 19 vini a Denominazione di Origine Controllata.


SCHEDA SUL VERMENTINO DI SARDEGNA SPUMANTE:
  • Vino DOC;
  • Resa uva/ettaro 200 q;
  • Resa max dell'uva 65%
  • Titolo alcolometrico naturale dell'uva 10%
  • Titolo alcolometrico minimo del vino 11%;
  • Estratto secco netto minimo 14 per mille.
  • Vitigni ove è consentita la produzione: Vermentino 85 - 100%

Fonte scheda: Ministero delle Politiche Agricole.

Vini Sardi: Carignano del Sulcis

Il vitigno rosso Carignano, presente in tutto il Mediterraneo occidentale, ha origini incerte in Sardegna, anche se la sua diffusione limitata all’area del Sulcis e all’Isola di Sant’Antioco farebbe pensare a un’origine fenicia. Il vitigno, che produce un vino rosso molto alcolico che non ha particolari esigenze pedoclimatiche ed è molto resistente ai venti ricchi di salsedine provenienti dal mare tipici del sud-ovest sardo, nonché a malattie come la filossera. Dalle uve Carignano si ottiene il “Carignano del Sulcis” , il quale ha ottenuto il riconoscimento DOC nel 1977. Questo vino deriva da uve Carignano al 100% o all’85% con il concorso dei vitigni Monica, Pascale, Alicante ed è un vino dal profumo fragrante e intenso, con gusto secco e sapido, che raggiunge gli 11,5°. Il Carignano ha acquistato valore in Sardegna e sui mercati internazionali soprattutto grazie a Giacomo Tachis, il maestro degli enologi italiani, il quale, portando l’immaginazione e la scienza in cantina, ha esaltato un vino che veniva utilizzato quasi esclusivamente come vino da taglio. Giacomo Tachis ha “firmato” i due rossi più importanti dell’isola, il “Turriga” e il “Terre Brune”.
Il primo è prodotto dalla Cantina Antonio Argiolas di Serdiana (Ca), una grande azienda che opera dal 1918 e che oggi, guidata dai figli del fondatore, ha conquistato una dimensione internazionale con una produzione di 2 milioni di litri di vino l’anno. I vigneti si estendono per circa 200 ettari nella zona tra Sisini, Serdiana e Selegas, in località Sa Tanca, dove sono ospitate le varietà tradizionali (Cannonau, Monica, Carignano, Malvasia) e i campi sperimentali dell’azienda. Il “Turriga” Isola dei Nuraghi IGT è il vino più premiato dell’azienda (ha ottenuto per dieci anni consecutivi i Tre Bicchieri della Guida dei Vini d’Italia edita da Gambero Rosso e Slow Food). E’ ottenuto da uvaggio Cannonau, Carignano e Bovale sardo con aggiunta di Malvasia Nera ed è invecchiato in barriques di quercia francese per 18 mesi. Il carattere prettamente sardo di questo vino e del suo uvaggio è ben rappresentato dall’etichetta del Turriga, che riporta l’effige di una scultura nuragica raffigurante la Grande Madre, la divinità primigenia della civiltà mediterranea. Fra i rossi della cantina è da menzionare anche il “Korem” Isola dei Nuraghi IGT, ottenuto da uve Bovale, Carignano e piccole quantità di Cannonau, e il “Costera”, Cannonau di Sardegna DOC. Fra i bianchi invece si distinguono il “Selegas”, Nuragus di Cagliari DOC, il “Costamolino” e l’”Is Argiolas, ambedue Vermentino di Sardegna Doc”.Il “Terre Brune”, l’altro famoso Carignano del Sulcis DOC, è prodotto dalla Cantina Sociale Di Santadi (Ca). L’ascesa della cantina, fondata nel 1960, è da ascrivere negli ultimi trenta anni al suo presidente Antonello Pilloni e al già menzionato enologo Giacomo Tachis. La cantina oggi conta 250 soci e circa 500 ettari di vigneti ad alberello estesi sulle arenarie e le trachiti (le terre brune appunto) del sud-ovest sardo. Il “Terre Brune”, che nasce da un uvaggio Carignano e Bovaleddu (5%) e raggiunge i 14°, ha conquistato i mercati internazionali ed è stato inserito nelle carte dei vini dei più famosi ristoranti di Tokyo, New York e Sidney. Ad esso si affiancano altri rossi (come il “Rocca Rubia”, Carignano del Sulcis DOC Riserva; Il “Grotta Rossa”, Carignano del Sulcis DOC da uvaggio carignano al 100%; l’”Antigua”, Monica di Sardegna DOC) e raffinati bianchi (Il “Cala Silente”, Vermentino di Sardegna DOC; Il “Pedraia”, Nuragus di Cagliari DOC; il “Latinia”, vino da dessert da uve Nasco).

mercoledì 19 novembre 2008

Vini Sardi: Cannonau di Sardegna.

Il Cannonau è un vitigno a bacca nera più diffuso in Sardegna. La coltivazione di questo vitigno è diffusa in tutta la Sardegna, ma concentrata nelle zone più centrali del territorio. Non se ne conosce con certezza l'origine e anche la maggior parte degli esperti è concorde nel ritenerlo importato dalla penisola iberica; recenti studi hanno dimostrato la sua indemicità. Dalle uve Cannonau si produce prevalentemente il vino DOC Cannonau di Sardegna, Rosso o Rosato, ottenuto con al minimo il 90% di uve Cannonau. L'invecchiamento obbligatorio minimo dui questo vino è di un'anno in botti di rovere o di castagno.
  • Cannonau di Sardegna Rosso.
Sotto Denominazione
  • Cannonau di Sardegna Capo Ferrato, se le uve provengono dai territori comunali di Muravera, San Vito, Villaputzu e Villasimius (Provincia di Cagliari)
  • Cannonau di Sardegna Jerzu, se le uve provengono dai comuni di Jerzu e Cardedu (Provincia di Nuoro)
  • Cannonau di Sardegna Nepente di Oliena, se le uve provengono dal territorio comunale di Oliena e, in parte, di Orgosolo (Provincia di Nuoro).
Con un invecchiamento di due anni (di cui almeno sei mesi in botti di castagno o rovere) e una gradazione minima del 13%, può portare la qualifica riserva.

Lotta guidata ai parassiti dell'olivo

L'intervento chimico è previsto solo quando il grado di infezione supera una certa percentuale, ovvero quando quando i costi delle irrorazioni sono inferiori al valore della produzione. La scelta del prodotto deve tener conto delle sue proprietà di azione, tossicità, selettività; si usa il prodotto più efficace e con minore impatto ambientale, scegliendo il momento più idoneo per intervenire.

Lymantria dispar

Lymantria dispar L. (Lepidoptera Lymantriidae)
Polifaga, è presente su piante dei generi Acer, Fagus, Alnus, Ulmus, Tilia, Platanus, Quercus e Prunus.
Sintomi - Presenza di ovature sul tronco e branche della pianta.

Descrizione
Adulti: i maschi di colore marrone giallastro e con fasce nere trasversali sulle ali anteriori ed addome sottile hanno apertura alare di 35-40 mm. Femmine più corpulente, di aspetto bianco sporco hanno le ali anteriori con alcune striature a zig zag che le percorrono in senso antero posteriore e una linea a V in posizione medio distale, che non manca mai a differenza delle altre macchiettature. L’apertura alare è di 40-70 mm.
Larve: a maturità hanno aspetto del tutto caratteristico dovuto alla particolare colorazione dei tubercoli dorsali che fanno parte dei sei presenti su ciascun segmento. Infatti al blu delle prime cinque paia si contrappone il rosso degli altri. Tutto ciò spicca su un corpo dall'aspetto bruno grigio giallastro, abbondantemente ricoperto di peli urticanti che si differenziano a ciuffo a livello dei tubercoli anzidetti. Le larve a maturità raggiungono una lunghezza di 60-70 mm.
Biologia: La specie svolge una sola generazione all'anno e sverna come larva entro l'uovo. In primavera (aprile-maggio) le larvette abbandonano il corion con una spiccata tendenza a diffondersi nell'ambiente. Attività per la quale hanno una struttura che, munita di peli aerofili, è capace di utilizzare il vento così da raggiungere in modo passivo piante distanti alcuni chilometri dal punto di sgusciamento. Le larve mangiano di giorno durante i primi stadi e di notte nei successivi; la maturità è raggiunta in giugno-luglio e l’incrisalidano avviene quasi sempre sulle piante dove sono cresciute. Gli adulti compaiono in massa tra fine giugno e tutto luglio, ma possono continuare a sfarfallare anche durante il mese di agosto e l'inizio di settembre. A ciò segue la deposizione delle uova in ovature protetta dai peli addominali della femmina che isolano ciascun uovo dagli altri. La struttura numerica dell’ovatura e sua dislocazione sulla piante danno una indicazione accettabile dello stato di gradazione in cui si trova la popolazione dell’insetto. Infatti ovature con 600-800 unità poste fino ad un'altezza di 2 m sul tronco stanno ad indicare che l'insetto è in una fase di latenza o di progradazione; mentre la riduzione del numero di uova a 300–500 e una loro dislocazione fino a sei metri di altezza e sui primi rami sta ad indicare lo stato di culmine e di retrogradazione della gradazione.
Periodo di dannosità: Maggio-Giugno.


Tratto da: http://www.entom.unibo.it/insetti%20alberi/Acero/L_dispar.htm

Principali razze bovine da carne

Marchigiana.Ricoperto da un pelo corto, bianco e liscio, con sfumature grigie sulle spalle, l'avambraccio e le occhiature, il bovino Marchigiano si riconosce per la cute pigmentata, la testa possente ma leggera, il collo corto, gibboso nei maschi, con giogaia ridotta e lo sviluppo armonico delle varie regioni somatiche.
La storia della razza Marchigiana, come la conosciamo oggi, inizia in realtà verso la metà del XIX secolo quando gli allevatori marchigiani incrociarono il bovino podolico autoctono (derivato dal "Bovino dalle grandi corna" giunto in Italia nel VI secolo d.C.) con tori chianini per ottenere una razza con maggior attitudine al lavoro e alla produzione di carne.
L'effetto di questo incrocio fu una trasformazione evidente del bovino: miglior sviluppo muscolare, mantello più chiaro, corna più corte e testa più leggera. Dopo un ulteriore incrocio con la razza Romagnola agli inizi del XX secolo, per abbassare la statura e rendere la razza adatta al lavoro dei campi, la Marchigiana assunse i caratteri attuali. Ottima produttrice di carne, sia in termini di resa al macello che di qualità delle carni (leggermente rosate e con grana fine), la Marchigiana viene oggi allevata in tutta l'Italia centrale, con punte di diffusione in Campania, Sicilia e all'estero (soprattutto Canada Usa e America Latina). L'ottima capacità di adattamento ne fa un bovino ideale per il pascolo in terreni difficili, e quindi un veicolo di recupero e valorizzazione economica dei cosiddetti "terreni marginali".

Chianina La Chianina (che trae il nome dalla Val di Chiana) è tra le più antiche del mondo, poiché l'uomo l'alleva tra Toscana, Umbria e Lazio da almeno 2200 anni, se è vero che i progenitori di tale razza sfilavano già nei cortei trionfali di Etruschi e Romani, come dimostrano antiche immagini su dipinti e reperti archeologici. Razza prestigiosa (la resa al macello dei vitelloni di razza Chianina è in media superio re al 60%), tanto che dal Sud America all'Australia, gli allevatori di quei Paesi ne importano riproduttori e seme congelato, per la creazione di nuovi "ceppi" locali e per la produzione di "incroci". Razza pregiata e prediletta per bellezza e vivacità di temperamento, è ricercata per la sua carne, pregevole per qualità, tenerezza e finezza di fibre: una carne magra e gustosa, di color rosso chiaro, con grasso perimuscolare bianco e poco abbondante; ha eccellenti caratteristiche organolettiche, da cui si ottengono tagli pregiati (soprattutto dalla regione dorsolombare dalla quale si ricavano le bistecche alla fiorentina). L'insieme delle caratteristiche elencate ne fanno, in assoluto, una delle migliori razze bovine da carne del mondo.

Romagnola Derivata da bovini romagnoli, a fondo podolico, e residente inizialmente tra Bologna, Ferrara, Forlì, Ravenna e Pesaro, grazie alla sua resistenza ai raggi solari e ad ogni tipo di condizione ambientale, si è assai diffusa nei Paesi più caldi, dal Sud Italia all'Argentina. Ha caratteristiche similari a quelle della chianina, dalla quale si differenzia per il colore più vivo della carne e dalla frequente presenza di grasso di copertura pure negli esemplari giovani; è inoltre divisa in due sottorazze ("gentile" e "montagnola"), ha carne rosa carico, gustosa e profumata, particolarmente magra, tenera e con una quantità non eccessiva di grasso intramuscolare

Podolica Razza tenace e resistente, ha attraversato almeno sei millenni di storia, discendendo dai primi bovini addomesticati dall'uomo nel Medio Oriente. In Italia è allevata soprattutto nei pascoli del Centro Sud (Abruzzo, Molise, Puglia, Campania, Basilicata, Calabria); dà poco latte, destinato alla produzione dei famosi caciocavalli, ma carne rosso chiara e saporita nei vitelli destinati alla macellazione.

Maremmana Razza adatta al lavoro nei campi, dal tronco ampio e muscoloso, è una presenza millenaria della Maremma toscana e laziale, fin dal tempo degli allevamenti etruschi, sparsa tra Grosseto, Viterbo, Terni, Roma, Latina, Arezzo, Livorno, Pisa. Allevata allo stato brado, e considerata dagli esperti una delle razze peninsulari più prestigiose, è assai prolifica e resistente. Ha carne gustosa, dal colore rosso carico anche negli esemplari più giovani.

Lotta tradizionale ai parassiti dell'olivo

Prevede l'uso di prodotti chimici in fasi vegettative prestabilite considerate a rischio come ad esempio la prefioritura, maturazione delle olive.
Vengono impiegati soprattutto erbicidi e pesticidi, con numerosi interventi, a clendario senza verificare la presenza dell'infestante.
Quasta lotta comporta delle conseguenze: riduzione della fertilità del terreno, spesso erosione, ditruzione della flora microbica del terreno.

lunedì 17 novembre 2008

Separazione dell'olio


Il mosto d'olio ottenuto dall'estrazione contiene sempre una quantità residua d'acqua che viene separata per effetto della differente densità dei due liquidi attraverso la decantazione o la centrifugazione.

La centrifugazione verticale è il sistema impiegato in tutti gli impianti per separare l'olio dall'acqua. Al processo è sottoposto sia il mosto d'olio ottenuto per spremitura o per centrifugazione orizzontale, sia l'acqua di vegetazione ottenuta dalla centrifugazione orizzontale.



Allo scopo si utilizzano separatori centrifughi verticali. Che per effetto della differente densità olio e acqua si separano in due differenti efflussi. Durante la rotazione si ha un accumulo di residui solidi (morchie) che vengono espulsi tramite un sistema di sicurezza automatizzato.


Molitura e gramolatura

Dopo aver lavato e fatto sgocciolare le olive, vengono frantumate attraverso i frantoi.
Esistono diversi tipi di frantoi, i più interessanti sono:
• il frantoio a molazza;
• il frantoio a martelli.
Il frantoio con la molazza consiste in una vasca in ghisa, sul fondo di essa girano da 1 a 3 ruote in granito che schiacciano le olive contenute nella vasca.
Mentre il frantoio a martelli è costituito da martelli che ruotando sbattono le olive contro una griglia cilindrica che provoca la rottura è il passaggio delle olive attraverso i fori. La miglior qualità di olio si ottiene con l’utilizzo della molazza per la sua azione calma.





Le olive dopo essere molite si presentano sotto forma di pasta, che viene rimescolata per 20-40 minuti in modo da rompere la membrana delle cellule oleifere, consentendo così una successiva estrazione dell’olio, avendo in fine una resa maggiore di olio. Questa operazione si chiama gramolatura ed è eseguita dalla gramolatrice dotata di un recipiente cilindrico nel quale la pasta viene rimescolata grazie a delle palette rotanti. Dotate di un dispositivo possono stratificare la
pasta-d’olio sui fiscoli.


l'estrazione per sinolea


Il principio fisico su cui si basa la Sinolea, concepito fin dal 1911, è la differenza fra la tensione superficiale dell'acqua di vegetazione e quella dell'olio: per effetto di questa differenza, l'olio tende ad aderire facilmente ad una superficie metallica rispetto all'acqua, la quale viene separata per percolazione. Il metodo di estrazione viene detto anche per filtrazione selettiva.
La Sinolea consiste fondamentalmente in una vasca contenente la pasta d'olio, prodotta da un frangitore a martelli, nella quale s'immerge il dispositivo estrattore. Quest'ultimo è costituito da una serie di alcune migliaia di lame d'acciaio che viene immersa nella pasta d'olio con un moto alternativo continuo.
Ad ogni ciclo d'immersione il sollevamento del dispositivo fa sgrondare l'acqua di vegetazione per effetto della gravità mentre l'olio aderisce alle superfici metalliche.
Il moto è piuttosto lento, con una velocità di rotazione dell'ordine di 7-9 giri al minuto. Durante il moto di ritorno le superfici metalliche vanno a contatto con un dispositivo raschiatore che rimuove l'olio facendolo confluire in un sistema di raccolta. Questo sistema permette di ottenere un olio di altissima qualità, tuttavia ha una resa piuttosto bassa.

Vitigni e vini Italiani, (in particolar modo Sardi) più diffusi.

I vitigni più diffusi in Italia sono:
  • Rossi; nebbiolo, sangiovese, primitivo, montepulciano;
  • Bianchi; trebbiano, vernaccia, moscato e vermentino (in Sardegna il Vermentino di Gallura, è uno dei più conosciuti e rinomati vini in Sardegna e in tutto il mondo, vino a denominazione di origine controllata e garantita, caratterizzato da una notevole struttura e alcolicità; tra i DOC si possono citare l'Alghero vermentino frizzante, e il vermentino di Sardegna, contraddistinto da caratteristiche più diversificate, dal vino più strutturato a quello più fresco e usato come aperitivo).

La mosca dell' olivo

In quasi tutte le aree in cui è coltivato l’olivo c’è un nemico quasi invisibile che agisce indisturbato. Si tratta del parassita più pericoloso della coltura olivo, la mosca delle olive (Bactrocera oleae).


La mosca dell’ulivo è simile alle altre mosche che colpiscono la frutta con dimensioni di circa 4-5 mm, facilmente riconoscibile dal "puntino" nero presente all’apice delle ali (vedi figura a lato).mosca-olivo Il clima gioca un ruolo importante per lo sviluppo di questa specie che sono diverse per i singoli stadi di vita di questo insetto (tre stadi larvali).
Le condizioni di temperatura ideale di questo insetto sono quelle comprese tra 22-30°C.
Il periodo di pre-ovideposizione delle femmine neosfarfallate è di circa 5-7 giorni alla temperatura di 25°C, mentre la durata dello stadio di uovo, larva e pupa è rispettivamente di 3, 14 e 15 giorni.
Gli adulti della mosca diventano attivi solo quando la temperatura supera i 14°C e si arresta allorquando questa supera i 31-33 °C. Va sottolineato che il perdurare di giornate estive caratterizzate da alte temperature (maggiori di 31°C), bassa umidità ed assenza di pioggia causano un'elevata mortalità delle uova e delle larve presenti all'interno dei frutti.

La mosca dell'olivo sverna prevalentemente allo stadio di pupa nelle drupe rimaste sulla pianta o nel terreno, i primi voli si possono già avvistare nei mesi di Aprile Maggio (dipende in quale regione italiana ci troviamo), tuttavia va aggiunto che nelle aree a clima caldo, possono svernare e sopravvivere anche per 7 mesi. La femmina non ovidepone finché le olive non hanno raggiunto un diametro di 7-8 mm e comunque non prima della fase fenologica dell'indurimento del nocciolo.

Dopo l'ovideposizione, che avviene praticando una puntura sulla buccia dell'oliva nella quale viene lasciato un solo uovo nella cavità sottostantmosca-larvae, si sviluppa la larva. La schiusura dell’uovo avviene dopo un periodo variabile e strettamente legato alle condizioni climatiche, nel periodo estivo circa 2-3 giorni mentre nel periodo autunnale circa dieci giorni. Con la nascita della larva che supera tre stadi mosca i dannilarvali all’interno dell’oliva nutrendosi della polpa, inizia l’attività trofica all’interno dell’oliva. E’ qui che iniziano i danni temuti da tutti gli olivicoltori. Infatti la larva in questa fase scava gallerie per nutrirsi innescando cosi una serie di indebolimenti del frutto. Con la fuoriuscita dell’adulto dal frutto che avviene nell’ultimo stadio, è visibile il foro di uscita che permette all’aria di penetrare all’interno dell’oliva ossidandola e rendendola debole.

I danni provocati dalla mosca dell’olivo sono sostanzialmente tre:

* - distruzione diretta della polpa di cui si alimentano le larve
* - caduta dei frutti infestati (cascola)
* - alterazione della qualità delle olive con conseguenze sulla qualità dell’olio che se ne ottiene


La lotta alla mosca dell’olivo
Quando le olive con punture fertili, cioè con presenza di uova o giovani larve, raggiunge il 10% del campione preso in esame, è conveniente eseguire un trattamento. Un campione attendibile può essere formato da 100 olive recuperata su 10 piante prensenti su una coltivazione di un ettaro.

Trattamenti mosca dell’olivo
I trattamenti applicati contro la mosca dell’olivo sono sostanzialmente tre:

* - trattamenti chimici
* - lotta biologica ed integrata
* - lotta biotecnica


Bisogna valutare attentamente il fenomeno di attacco, è molto importante orientarsi in base all’entità della presenza di adulti e al tipo di punture.
larva mosca olivo Nelle zone in cui l’attacco della mosca olivo è tardivo e di limitata intensità, come per esempio in alcune aree del sud Italia in zone di alta collina, si può ricorrere alla lotta biotecnica, che consiste nella cattura massale mediante trappole, che vanno posizionate sin dalla prima comparsa degli adulti, in modo da tenerne bassa la popolazione. Questo tipo di cattura, mediante trappole, è inutile in oliveti di piccole dimensioni mentre inizia ad essere efficace in oliveti con superficie superiore a 4-5 ettari.
Se l’entità, la presenza di adulti e il tipo di punture, è di maggiore intensità, si potrà valutare l’opportunità di interventi con repellenti o prodotti chimici convenzionali. In agricoltura biologica, bisogna adoperare pesticidi naturali o comunque quelli ammessi per questo tipo di olivicoltura, e in ogni caso cercando di scegliere quelli che presentano un basso impatto ambientale.
Si vuole segnalare anche il metodo di lotta antibatterico, che si è dimostrato abbastanza efficace se usato tempestivamente, specie quando si utilizzano mix di rame e propoli, e i classici presidi fitosanitari, quali il dimetoato o la deltametina che presenta un basso impatto ambientale.

La continua ricerca di metodi per contrastare in modo efficace la mosca dell’olivo, sono orientate verso metodi che richiedano sempre di più, un limitato numero di interventi e un basso impatto ambientale. Verso questa via entrano in gioco i cosiddetti insetti utili antagonisti della mosca.
Un insetto che si è dimostrato antagonista ed efficace nel limitare i danni provocati dalla mosca olivo, è il Psytallia concolor, un insetto esotico che è stato importato e pare adattarsi bene al clima italiano. Un altro insetto che viene sperimentato come antagonista e che ha dimostrato di poter diventare un nuovo efficace agente di controllo è il Fopius Arisanus, che trova il suo ambiente di sopravvivenza ideale in condizioni climatiche caldo-secche quindi abbastanza adattabile al clima del mezzogiorno d’italia. Naturalmente la ricerca in questo senso continua con i suoi esperimenti legando sempre di più l’assoluta difesa dell’ambiente.

Informazioni dettagliate su questo insetto sono consultabili su wikipedia.org.

I fitofarmaci

I prodotti fitosanitari (o fitofarmaci) sono tutti quei prodotti, di sintesi o naturali, che vengono utilizzati per combattere le principali avversità delle piante (malattie infettive, fisiopatie, parassiti e fitofagi animali, piante infestanti) hanno un ruolo determinante nell’attuale agricoltura, essendo usati per difendere le colture da parassiti (soprattutto insetti e acari) e patogeni (batteri, virus, funghi), per controllare lo sviluppo di piante infestanti e per assicurare l’ottenimento di elevati standard di qualità dei prodotti agricoli.
Tuttavia, essendo i fitofarmaci generalmente costituiti da sostanze tossiche (in alcuni casi cancerogene), il loro uso improprio, non sperimentato e non autorizzato, determina rischi e pericoli per la salute umana e animale. Il loro impiego ha un impatto ormai largamente confermato sulle proprietà fisiche e chimiche dei suoli e sulla micro-, meso- e macro-fauna. Alcuni residui, inoltre, possono contaminare le acque superficiali e sotterranee, con ulteriori effetti pericolosi sulla salute umana e sull’ambiente. Ciò è dimostrato anche dalla Direttiva CE 152/99, che impone limiti molto restrittivi (soprattutto per erbicidi e insetticidi) sulla loro presenza nelle acque destinate a fini potabili. La limitazione al minimo necessario dell’uso di questi mezzi tecnici in agricoltura dovrebbe essere una delle politiche per progredire verso forme più evolute di agricoltura sostenibile.
Negli anni una serie di Direttive comunitarie sono state emanate al fine di ridurre i rischi derivanti dall’uso dei fitofarmaci, definendo una serie di limiti alle loro concentrazioni nella frutta e nei vegetali, nei cereali e nei prodotti di origine animale. Altre Direttive, invece, hanno riguardato l’armonizzazione delle regole nazionali (per gli aspetti relativi alla classificazione, al confezionamento e all’etichettatura di pesticidi e delle sostanze attive), come pure le norme relative alla registrazione, alla commercializzazione e all’uso.

Estrazione per pressione

Dopo aver effettuato la molitura e la gramolatura, si passa all’estrazione per pressione.

Si tratta del metodo classico, che separa il mosto d’olio dalla pasta d’olio, attraverso una filtrazione per effetto di una pressione. La pressione si attua in una pressa idraulica aperta disponendo la pasta d’olio su strati sottili alternati ai fiscoli in una torre carrellata. La costruzione della torre consiste in un piatto circolare in acciaio carrellato per la movimentazione. Al centro del piatto è inserito un cilindro forato (detto foratina) che ha lo scopo di mantenere la torre in verticale e favorire il deflusso del mosto d’olio.

La costruzione della “torre” avviene secondo un ordine standard: i fiscoli costituiti di un materiale vegetale di cocco, forato al centro in modo da essere infilato lungo la foratina. Sul primo fiscolo adagiato sul fondo del piatto, si dispone uno strato di pasta d’olio spesso 3 cm, si sovrappone un secondo fiscolo e un secondo strato di pasta e cosi via. Ogni tanto si sovrappone ai fiscoli un disco in acciaio allo scopo di distribuire uniformemente la pressione. A questo punto la torre viene inserita nella pressa e sottoposta a pressioni di 400 at. Per effetto della pressione il mosto d’olio si separa dalla pasta fuoriuscendo lungo la foratina che viene poi raccolto sul piatto. Terminata l’estrazione, viene smontata e dai diaframmi viene rimossa la sansa utilizzando apposite macchine.




I vantaggi dell'estrazione per pressione sono i seguenti:

  • buona qualità delle sanse
  • ridotti consumi di energia e acqua e costi fissi contenuti
  • minori quantitativi d'acqua di vegetazione da smaltire
  • minore carica inquinante dell'acqua di vegetazione

Gli svantaggi sono i seguenti:

  • costi rilevanti per l'impiego della manodopera
  • oneri derivanti dalla difficoltà di pulizia dei diaframmi filtranti
  • funzionamento a ciclo discontinuo
  • rischio di peggioramento della qualità in caso di cattiva pulizia dei diaframmi.