Nonostante la pigiatura dell'uva - l'operazione che consente la produzione del mosto - sia semplice nella sua forma, in realtà è opportuno utilizzare strumenti idonei. In commercio esistono diversi tipi di pigiatrici meccaniche che consentono di pigiare grosse quantità di uva in tempi piuttosto brevi. La rapidità con la quale si pigia l'uva è in effetti di fondamentale importanza, poiché dal momento del raccolto al momento nel quale si inizia la produzione del mosto dovrà passare il minor tempo possibile. Uno dei problemi principali nella produzione casalinga del vino è rappresentata dalla procedura di separazione dei raspi dall'uva, un'operazione che si ritiene indispensabile per la produzione dei vini bianchi. La pigiatura dell'uva dovrebbe essere in effetti preceduta dalla diraspatura, cioè la separazione del raspo - la parte legnosa centrale del grappolo al quale sono attaccati gli acini - così da non conferire quantità eccessive di tannini ruvidi al mosto. A tale proposito è bene ricordare che in certi casi, in particolare quando le uve sono carenti di tannini, la diraspatura può essere evitata, tuttavia è sempre consigliabile eseguirla nella produzione dei vini bianchi in modo da assicurare maggiore finezza ed eleganza. Questa operazione può essere eseguita mediante un'apposita macchina - detta diraspatrice - tuttavia è più conveniente e pratico utilizzare una pigio-diraspatrice, cioè una macchina che oltre a provvedere alla separazione degli acini dal raspo, esegue anche la pigiatura dell'uva. In commercio esistono diversi tipi di pigio-diraspatrici e non tutte sono uguali. Una buona pigio-diraspatrice, oltre a consentire la separazione del raspo, dovrà pigiare l'uva in modo piuttosto delicato, senza eccessiva forza e in modo tale da non lacerare eccessivamente le bucce evitando la frantumazione dei vinaccioli. Il lavoro svolto da una buona pigio-diraspatrice è facile da riconoscere: le bucce sono integre e presentano una sola spaccatura laterale e i vinaccioli sono perfettamente integri. La frantumazione dei vinaccioli va evitata soprattutto nella produzione per i vini bianchi, poiché cedono quantità eccessive di tannini al mosto. Bucce più integre faciliteranno inoltre l'operazione di sgrondamento del mosto, cioè la separazione delle parti solide dalla parte liquida. A seconda del tipo di vino che si intende produrre, il mosto va trattato in modo opportuno. Nel caso di vino bianco, si procederà con lo sgrondamento, cioè all'immediata separazione delle bucce e dei vinaccioli così da limitare la cessione di polifenoli. Per il mosto destinato alla produzione di vino rosso, le bucce sono invece lasciate in macerazione per tutto il periodo della fermentazione, o fino a quando non si raggiunge il grado di colorazione e la quantità di tannini desiderata. Subito dopo la pigiatura, a causa del contatto con l'aria e dei lieviti naturalmente presenti nelle bucce, il mosto inizia a ossidarsi e a fermentare. L'ossidazione dovrà essere evitata in ogni caso - così come nel vino - mentre nel caso della produzione di vino bianco, è opportuno ritardare la fermentazione così da consentire un'adeguata sedimentazione delle parti solide presenti nel mosto. Nella produzione di vino bianco è infatti auspicabile l'utilizzo di mosto limpido e privo di sostanze solide - costituite dai residui della polpa e delle bucce - in modo da ottenere un vino più limpido e più stabile. L'anidride solforosa si rivela utile e fondamentale già subito dopo la pigiatura dell'uva poiché, grazie ai suoi effetti, evita dannose ossidazioni, opera un'opportuna selezione dei lieviti e blocca temporaneamente la loro azione. Queste due qualità saranno indispensabili per i mosti destinati alla produzione di vino bianco, poiché bloccando l'azione dei lieviti e svolgendo una blanda azione chiarificante, si consentirà la sedimentazione delle parti solide presenti nel mosto ritardando la fermentazione. Nonostante l'anidride solforosa abbia degli effetti indesiderati sull'organismo, le quantità tipicamente utilizzate e ammesse in enologia sono da considerarsi relativamente sicure, tuttavia è sempre opportuno utilizzare sempre e comunque la quantità minima indispensabile. Nella produzione casalinga di vino, il metodo più semplice e affidabile di addizione di anidride solforosa è rappresentato dall'impiego di metabisolfito di potassio, semplice da pesare e da aggiungere. È invece sconsigliabile il poco pratico impiego di dischi di zolfo da bruciare nei contenitori, poiché questo metodo non consente di stabilire esattamente le dosi di anidride solforosa aggiunta al mosto o al vino. Utilizzando il metabisolfito di potassio, è opportuno ricordare che questo contiene circa il 55% di anidride solforosa, pertanto un grammo di metabisolfito di potassio produce 550 mg di anidride solforosa. Per quanto riguarda il mosto, le quantità di metabisolfito di potassio da impiegare possono variare da 5 a 30 grammi per ettolitro, dosi variabili in funzione della qualità e della sanità delle uve. Nel caso di uve sane e senza difetti, sarà sufficiente impiegare da 5 a 10 grammi per ettolitro di metabisolfito di potassio, mentre con uve alterate da muffa, o peggio ancora, da marciume, si arriverà all'impiego di 20-30 grammi per ettolitro. In condizioni normali, l'impiego di 10-15 grammi per ettolitro è da considerarsi corretto e tale da garantire una buona fermentazione. È comunque opportuno ricordare che maggiore è la dose di anidride solforosa utilizzata nel mosto e più lento risulterà essere l'inizio della fermentazione alcolica. Inoltre, quantità eccessive di metabisolfito di potassio (50-60g/hl e oltre) inibiscono completamente la fermentazione del mosto poiché in questo modo si eliminano tutti i microorganismi presenti, compresi i lieviti. L'aggiunta di anidride solforosa, nella forma di metabisolfito di potassio o di altri metodi, va eseguita in accordo al tipo di mosto da trattare. Poiché l'anidride solforosa svolge anche un'azione solvente in certi componenti presenti nella buccia degli acini d'uva - in particolare le sostanze coloranti e i polifenoli - si sconsiglia l'addizione, praticata da molti, direttamente sulle uve bianche poiché questo provocherebbe un poco desiderabile ingiallimento del mosto. Nel mosto prodotto da uve bianche è sempre opportuno aggiungere l'anidride solforosa dopo la fase di sgrondamento, cioè dopo avere provveduto a separare le bucce dal mosto. In ogni caso, indipendentemente dal tipo di vino da produrre - sia bianco, sia rosso - è preferibile aggiungere l'anidride solforosa direttamente al mosto provvedendo a mescolare uniformemente la massa. Il contatto con le bucce è indispensabile nei mosti da uve rosse poiché saranno proprio queste a conferire colore al vino, mentre nel vino bianco vanno eliminate subito dopo la pigiatura. La parte sgrondata può essere quindi torchiata e aggiunta al mosto, oppure utilizzata per la produzione di vini di minore pregio.