lunedì 22 settembre 2008
Efficacia dei più importanti effluenti zootecnici - il letame.
Il letame più comune è quello bovino e quando si parla di letame per lo più ci si riferisce a questo. Data l'elevata percentuale di azoto organico residuale, la cui degradazione avviene molto lentamente, il letame bovino ha un effetto concimante che persiste per più anni (forza vecchia). L'apporto di azoto nel primo anno è valutato intorno ad un quarto dell'azoto totale. Il letame, in generale, è considerato il fertilizzante per eccellenza in quanto garantisce, più degli altri effluenti di allevamento, un'adeguata dotazione organico-umica che consente di mantenere la fertilità dei terreni agrari. Tra i concimi organici azotati, oltre al letame essicato bovino ed a altri tipi, quelli dello stesso equino, ovino etc., è stato riconosciuto anche il letame suino essiccato, definito purchè in possesso di determinati requisiti " prodotto ottenuto dall'essiccazione e lavorazione di deiezioni suine tal quali".
Determinazione dei volumi degli effluenti zootecnici.
La determinazione dei volumi degli effluenti zootecnici è uno degli elementi fondamentali per la gestione corretta degli effluenti stessi e costituisce la base della progettazione degli impianti di trattamento e di stoccaggio. La gestione degli effluenti, in virtù dell'utilizzazione agronomica, è correlata al piano delle concimazioni ed altri spandimenti su terreni agrari. I liquami prodotti in aziende zootecniche con superfici di spandimento insufficienti, o senza terra, dovranno subire dei trattamenti di depurazione che li trasformano in fanghi. In ogni caso nella progettazione degli impianti di stoccaggio o nella progettazione di impianti di altri trattamenti o di depurazione è fondamentale calcolare, con maggiore approssimazione possibile i flussi degli effluenti, per dimensionare gli impianti in funzione della capacità di lavoro, di stoccaggio, di utilizzazione agronomica o di depurazione. La quantità degli effluenti zootecnici è molto variabile e dipende non solo dalla specie, ma anche dalle categorie di animali, dall'alimentazione (se povera o ricca di acqua) e dal tipo di allevamento adottato. La determinazione del volume degli effluenti zootecnici può essere fondamentalmente di due tipi:
- Diretta, quando la misurazione viene fatta direttamente sul prodotto;
- Indiretta, quando la determinazione del volume si riferisce a produzioni medie, ricavate da un grande numero di misure dirette in situazioni simili da quella da valutare.
L'utilizzazione agronomica degli affluenti zootecnici.
L'apporto di sostanza organica migliora la struttura e la fertilità del terreno agrario in quanto fornisce composti umici che sono fondamentali sia per la vita degli organismi viventi, sia per la formazione degli aggregati strutturali che conferiscono, al terreno stesso, la porosità necessaria per la vita delle piante. Le proprietà della sostanza organica si possono ricondurre a due:
- Favorisce la formazione della struttura: dipende dal tipo di sostanza organica, dal grado di umificazione e dalla quantità apportata;
- Apporta sostanze nutritive: la quantità di nutrienti della sostanza organica non è ben definibile con un titolo dichiarato, come avviene per i concimi chimici, ma è variabile in relazione a diversi fattori che sono dovuti alla specie animale, alla presenza di lettimi, al tipo di stoccaggio, etc.
Gli effluenti zootecnici sono la più importante fonte di sostanza organica di reintegro per il terreno agrario e contemporaneamente, se male utilizzati, una fonte di inquinamento, da sostanze azotate per le acque.
la simbiosi
La simbiosi è una condizione estremamente diffusa tra gli organismi viventi e coinvolge organismi appartenenti a tutti i regni del vivente. Si va da quelle molto famose tra i pesci pagliaccio e gli anemoni di mare a quelle forse più sconosciute tra gli afidi e alcuni batteri o ancora tra piante e funghi o piante e batteri. L'uomo stesso partecipa ad alcune associazioni simbiotiche con batteri. È provato che molte di queste simbiosi sono necessarie per la sopravvivenza stessa dei due partner. [1] Nella maggior parte degli ambienti naturali la simbiosi costituisce la normalità. In ambienti terrestri, circa l’85-90% delle specie vegetali forma simbiosi con funghi del suolo (simbiosi definite micorrize)
Nel rapporto di simbiosi si parla in genere di un partner ospite e di uno simbionte. Molto semplicisticamente, l'ospite è il partner più grande, mentre il simbionte è quello più piccolo.
In base alla duratura dell’associazione si possono distinguere simbiosi cicliche e simbiosi permanenti.
nella simbiosi ciclica il simbionte viene acquisito ad ogni generazione dall’ospite e quindi i partner hanno vita autonoma.
Esempi di questo tipo di associazione sono: - simbiosi tra piante e azotofissatori (rizobi, Frankia, cianobatteri) - simbiosi micorrizica - simbiosi lichenica - simbiosi tra funghi e cianobatteri (Geosyphon pyriforme)
nella simbiosi permanente il simbionte vive esclusivamente in associazione con l’ospite. Si possono ulteriormente distinguere:
simbiosi intracellulari come ad esempio molte simbiosi nel regno animale, le simbiosi tra funghi micorrizici AM e batteri e gli organelli (cloroplasti e mitocondri)
simbiosi intercellulari come quella tra Anabaena e Azolla
Gruppi sistematici coinvolti [modifica]
In natura le simbiosi possono interessare una grande varietà di organismi; si possono osservare, ad esempio, rapporti simbiotici fra:
piante e microrganismi, per esempio fra ontani e attinomiceti degli ontani;
piante e animali, per esempio formiche o termiti che "coltivano" particolari tipi di funghi, o batteri della flora fermentativa, chiamati fermenti lattici, che producono vitamine nel lume intestinale dell'uomo;
animali di specie diverse, per esempio fra l'attinia e il pesce pagliaccio o fra lo squalo e il pesce pilota.
I tipi di simbiosi [modifica]
La simbiosi in natura può essere divisa in due distinte categorie: ectosimbiosi e endosimbiosi.
Nell'ectosimbiosi il simbionte vive sulla superficie corporea dell'ospite, compresa la superficie interna del dotto gastrico o di dotti delle ghiandole esocrine.
Nell'endosimbiosi il simbionte vive nello spazio intracellulare o intercellulare dell'ospite.
La simbiosi, specialmente l'endosimbiosi, permette in genere di acquisire nuove funzioni sia metaboliche (fotosintesi, azotofissazione, chemiosintesi, degradazione della cellulosa) che non metaboliche (Luminescenza, protezione da agenti chimici, fisici, biologici).
In biologia si possono distinguere vari tipi di simbiosi sulla base dei rapporti trofici:
mutualismo, in cui entrambe le specie ricevono un vantaggio (+ +);
commensalismo od inquilinismo, nei casi in cui la simbiosi è indifferente per l'ospite e vantaggiosa per il commensale (nel caso questo riceva cibo) o l'inquilino (nel caso riceva "alloggio") (+ 0);
amensalismo, quando l'associazione è svantaggiosa per un membro ed indifferente per l'altro (- 0)
parassitismo, quando il parassita ottiene un vantaggio danneggiando l'ospite (+ -).
Il confine tra i tipi di simbiosi non è sempre netto. Un commensale o inquilino, ad esempio, può divenire un parassita in specie diverse dall'ospite usuale, oppure in caso di debilitazione dell'ospite (opportunismo).
In effetti, mutualismo, parassitismo e commensalismo non sono categorie distinte di interazione e dovrebbero essere piuttosto percepite come un continuo di interazioni che variano dal mutualismo al parassitismo. L'orientamento di una interazione simbiotica può cambiare durante il corso della vita dei simbionti a causa di variazioni nello sviluppo o anche per cambiamenti dell'ambiente nel quale l'interazione avviene.
In alcuni casi, il termine simbiosi viene usato solo se l'associazione è obbligatoria e beneficia entrambi gli organismi. La simbiosi come viene definita in questo articolo non restringe il termine alle sole interazioni mutuamente benefiche.
La simbiosi può essere ciclica o permanente.
Si parla di simbiosi ciclica quando i due partner devono attivare l'associazione ad ogni ricambio generazionale. In questo caso avremo uno scambio di segnali chimici per il riconoscimento (o per ingannare l'ospite, in caso di una parassitosi), poi vari tipi di controllo genomico e metabolico che permettono di attivare le funzioni della simbiosi. Le piante e i funghi instaurano questo tipo di simbiosi.
Si parla invece di simbiosi permanente quando il simbionte vive esclusivamente in associazione con l'ospite. In questo caso il simbionte viene trasmesso verticalmente, cioè di generazione in generazione, spesso per via "materna", cioè nella cellula uovo. In questo caso le modificazioni genomiche e funzionali sia dell'endosimbionte che dell'ospite sono talmente elevate che essi non possono più vivere al di fuori della simbiosi. L'evoluzione da un organismo che presenta una simbiosi permanente, può portare al facile riconoscimento di gruppi monofiletici (che hanno un'unica origine evolutiva), i quali presentano tutti o quasi tutti associazioni simbiotiche obbligate. Spesso si può anche notare una stretta coevoluzione tra i discendenti dei due partner. Molti animali hanno questo tipo di simbiosi soprattutto con funghi e batteri.
Nel rapporto di simbiosi si parla in genere di un partner ospite e di uno simbionte. Molto semplicisticamente, l'ospite è il partner più grande, mentre il simbionte è quello più piccolo.
In base alla duratura dell’associazione si possono distinguere simbiosi cicliche e simbiosi permanenti.
nella simbiosi ciclica il simbionte viene acquisito ad ogni generazione dall’ospite e quindi i partner hanno vita autonoma.
Esempi di questo tipo di associazione sono: - simbiosi tra piante e azotofissatori (rizobi, Frankia, cianobatteri) - simbiosi micorrizica - simbiosi lichenica - simbiosi tra funghi e cianobatteri (Geosyphon pyriforme)
nella simbiosi permanente il simbionte vive esclusivamente in associazione con l’ospite. Si possono ulteriormente distinguere:
simbiosi intracellulari come ad esempio molte simbiosi nel regno animale, le simbiosi tra funghi micorrizici AM e batteri e gli organelli (cloroplasti e mitocondri)
simbiosi intercellulari come quella tra Anabaena e Azolla
Gruppi sistematici coinvolti [modifica]
In natura le simbiosi possono interessare una grande varietà di organismi; si possono osservare, ad esempio, rapporti simbiotici fra:
piante e microrganismi, per esempio fra ontani e attinomiceti degli ontani;
piante e animali, per esempio formiche o termiti che "coltivano" particolari tipi di funghi, o batteri della flora fermentativa, chiamati fermenti lattici, che producono vitamine nel lume intestinale dell'uomo;
animali di specie diverse, per esempio fra l'attinia e il pesce pagliaccio o fra lo squalo e il pesce pilota.
I tipi di simbiosi [modifica]
La simbiosi in natura può essere divisa in due distinte categorie: ectosimbiosi e endosimbiosi.
Nell'ectosimbiosi il simbionte vive sulla superficie corporea dell'ospite, compresa la superficie interna del dotto gastrico o di dotti delle ghiandole esocrine.
Nell'endosimbiosi il simbionte vive nello spazio intracellulare o intercellulare dell'ospite.
La simbiosi, specialmente l'endosimbiosi, permette in genere di acquisire nuove funzioni sia metaboliche (fotosintesi, azotofissazione, chemiosintesi, degradazione della cellulosa) che non metaboliche (Luminescenza, protezione da agenti chimici, fisici, biologici).
In biologia si possono distinguere vari tipi di simbiosi sulla base dei rapporti trofici:
mutualismo, in cui entrambe le specie ricevono un vantaggio (+ +);
commensalismo od inquilinismo, nei casi in cui la simbiosi è indifferente per l'ospite e vantaggiosa per il commensale (nel caso questo riceva cibo) o l'inquilino (nel caso riceva "alloggio") (+ 0);
amensalismo, quando l'associazione è svantaggiosa per un membro ed indifferente per l'altro (- 0)
parassitismo, quando il parassita ottiene un vantaggio danneggiando l'ospite (+ -).
Il confine tra i tipi di simbiosi non è sempre netto. Un commensale o inquilino, ad esempio, può divenire un parassita in specie diverse dall'ospite usuale, oppure in caso di debilitazione dell'ospite (opportunismo).
In effetti, mutualismo, parassitismo e commensalismo non sono categorie distinte di interazione e dovrebbero essere piuttosto percepite come un continuo di interazioni che variano dal mutualismo al parassitismo. L'orientamento di una interazione simbiotica può cambiare durante il corso della vita dei simbionti a causa di variazioni nello sviluppo o anche per cambiamenti dell'ambiente nel quale l'interazione avviene.
In alcuni casi, il termine simbiosi viene usato solo se l'associazione è obbligatoria e beneficia entrambi gli organismi. La simbiosi come viene definita in questo articolo non restringe il termine alle sole interazioni mutuamente benefiche.
La simbiosi può essere ciclica o permanente.
Si parla di simbiosi ciclica quando i due partner devono attivare l'associazione ad ogni ricambio generazionale. In questo caso avremo uno scambio di segnali chimici per il riconoscimento (o per ingannare l'ospite, in caso di una parassitosi), poi vari tipi di controllo genomico e metabolico che permettono di attivare le funzioni della simbiosi. Le piante e i funghi instaurano questo tipo di simbiosi.
Si parla invece di simbiosi permanente quando il simbionte vive esclusivamente in associazione con l'ospite. In questo caso il simbionte viene trasmesso verticalmente, cioè di generazione in generazione, spesso per via "materna", cioè nella cellula uovo. In questo caso le modificazioni genomiche e funzionali sia dell'endosimbionte che dell'ospite sono talmente elevate che essi non possono più vivere al di fuori della simbiosi. L'evoluzione da un organismo che presenta una simbiosi permanente, può portare al facile riconoscimento di gruppi monofiletici (che hanno un'unica origine evolutiva), i quali presentano tutti o quasi tutti associazioni simbiotiche obbligate. Spesso si può anche notare una stretta coevoluzione tra i discendenti dei due partner. Molti animali hanno questo tipo di simbiosi soprattutto con funghi e batteri.
I fitofagi
Il termine fitofago fa genericamente riferimento ad un organismo che ha un rapporto trofico unilaterale a spese dei vegetali, ai quali crea un danno più o meno grave. In genere il termine è usato in Entomologia e in Parassitologia per indicare organismi animali appartenenti al phylum degli Artropodi. Il termine fitofago è preferibile a quello di parassita, perché oltre a quest'ultimo comprende anche gli organismi dotati di vita autonoma.
Il fitofago si nutre prelevando il contenuto di singole cellule o erodendo parti porzioni di tessuto o sottraendo liquidi interni. A rigore fra i fitofagi non dovrebbero essere compresi gli organismi che si nutrono di sostanze emesse dai vegetali, quali ad esempio gli Insetti pronubi, o di materiali di origine vegetale, quali ad esempio i detritivori o gli insetti dannosi alle derrate alimentari ottenute per trasformazione dei prodotti vegetali.
Nell'ambito dei fitofagi si distinguono dei sottoinsiemi in relazione al tipo di dipendenza o all'abitudine alimentare:
Parassiti: sono organismi che hanno un rapporto di stretta dipendenza nei confronti del vegetale ospite. Un parassita può essere considerato tale se deve appoggiarsi alle strutture della pianta ospite, si nutre a spese di una sola pianta ospite, non ne provocano direttamente la morte. Sono tali, ad esempio, i Nematodi, le larve dei Ditteri Cecidomidi e quelle degli Imenotteri Cinipedi.
Endofiti: sono organismi che vivono all'interno della pianta ospite. Sono tali, ad esempio, le larve Minatrici delle foglie, del legno, dei frutti.
Polifagi: si nutrono a spese di un numero indefinito di specie vegetali. Sono tali, ad esempio, le Cavallette e la Mosca della frutta.
Oligofagi: si nutrono a spese di poche specie vegetali, che non necessariamente sono affini dal punto di vista filogenetico. Sono tali ad esempio la Cocciniglia mezzo grano di pepe, che attacca in genere l'Olivo, gli Agrumi e l'Oleandro e la Piralide del mais che attacca il Mais e il Peperone.
Monofagi: si nutrono a spese di una sola specie vegetale e l'eventuale presenza su altre specie, generalmente affini dal punto di vista filogenetico, va considerata come un evento eccezionale. Sono tali ad esempio la Mosca dell'olivo, la Fillossera della vite e la Tignoletta della vite.
Xilofagi: si nutrono a spese del legno. Sono tali ad esempio i Coleotteri Cerambicidi e Scoliditi e le larve dei Lepidotteri Cossidi e Sesidi.
Fillofagi: si nutrono a spese delle foglie o degli apici dei germogli. Sono tali ad esempio le larve della prima generazione della Tignola dell'olivo, i Lepidotteri fillominatori, il Bombice dispari.
Antofagi: si nutrono a spese dei fiori. Sono tali ad esempio le larve della seconda generazione della Tignola dell'olivo, il Verme della zagara, la Cetonia.
Carpofagi: si nutrono a spese dei frutti. Sono tali ad esempio le larve della terza generazione della Tignola dell'olivo, Mosca della frutta e la Carpocapsa del melo.
Estratto da "http://it.wikipedia.org/wiki/Fitofago"
Il fitofago si nutre prelevando il contenuto di singole cellule o erodendo parti porzioni di tessuto o sottraendo liquidi interni. A rigore fra i fitofagi non dovrebbero essere compresi gli organismi che si nutrono di sostanze emesse dai vegetali, quali ad esempio gli Insetti pronubi, o di materiali di origine vegetale, quali ad esempio i detritivori o gli insetti dannosi alle derrate alimentari ottenute per trasformazione dei prodotti vegetali.
Nell'ambito dei fitofagi si distinguono dei sottoinsiemi in relazione al tipo di dipendenza o all'abitudine alimentare:
Parassiti: sono organismi che hanno un rapporto di stretta dipendenza nei confronti del vegetale ospite. Un parassita può essere considerato tale se deve appoggiarsi alle strutture della pianta ospite, si nutre a spese di una sola pianta ospite, non ne provocano direttamente la morte. Sono tali, ad esempio, i Nematodi, le larve dei Ditteri Cecidomidi e quelle degli Imenotteri Cinipedi.
Endofiti: sono organismi che vivono all'interno della pianta ospite. Sono tali, ad esempio, le larve Minatrici delle foglie, del legno, dei frutti.
Polifagi: si nutrono a spese di un numero indefinito di specie vegetali. Sono tali, ad esempio, le Cavallette e la Mosca della frutta.
Oligofagi: si nutrono a spese di poche specie vegetali, che non necessariamente sono affini dal punto di vista filogenetico. Sono tali ad esempio la Cocciniglia mezzo grano di pepe, che attacca in genere l'Olivo, gli Agrumi e l'Oleandro e la Piralide del mais che attacca il Mais e il Peperone.
Monofagi: si nutrono a spese di una sola specie vegetale e l'eventuale presenza su altre specie, generalmente affini dal punto di vista filogenetico, va considerata come un evento eccezionale. Sono tali ad esempio la Mosca dell'olivo, la Fillossera della vite e la Tignoletta della vite.
Xilofagi: si nutrono a spese del legno. Sono tali ad esempio i Coleotteri Cerambicidi e Scoliditi e le larve dei Lepidotteri Cossidi e Sesidi.
Fillofagi: si nutrono a spese delle foglie o degli apici dei germogli. Sono tali ad esempio le larve della prima generazione della Tignola dell'olivo, i Lepidotteri fillominatori, il Bombice dispari.
Antofagi: si nutrono a spese dei fiori. Sono tali ad esempio le larve della seconda generazione della Tignola dell'olivo, il Verme della zagara, la Cetonia.
Carpofagi: si nutrono a spese dei frutti. Sono tali ad esempio le larve della terza generazione della Tignola dell'olivo, Mosca della frutta e la Carpocapsa del melo.
Estratto da "http://it.wikipedia.org/wiki/Fitofago"
I livelli trofici
Per livello trofico si intende la posizione che un individuo facente parte di una comunità occupa rispetto al livello trofico di base che è rappresentato dagli autotrofi (produttori, come i vegetali). Più esattamente in un "livello trofico" sono compresi tutti quegli organismi che ottengono energia dal Sole (o da altri tipi di fonti primarie) tramite lo stesso numero di passaggi; se ad esempio consideriamo una catena alimentare composta da graminacea-->cavalletta-->rana-->rapace, la graminacea (autotrofo, che cioè sfrutta direttamente l'energia solare o chemiosintetica come fonte per organicare le sostanze necessarie al proprio metabolismo) sarà al 1° livello trofico e via via fino al rapace che occuperà il 4° livello trofico.
Con una semplificazione, si può dire che il livello trofico è il posto occupato da un individuo all'interno della catena alimentare.
Con una semplificazione, si può dire che il livello trofico è il posto occupato da un individuo all'interno della catena alimentare.
Lotta biologica e processionaria
La processionaria del pino è un lepidottero defogliatore (Thaumatopoea pityocampa Den. e Schiff.) appartenente alla famiglia dei Taumetopeidi che può infestare il Pino e il Cedro. Il danno è causato dall'attività trofica delle larve a carico degli aghi: in casi particolarmente gravi si può arrivare anche alla completa defogliazione dell’albero.
Processionaria è però pericolosa anche per l’uomo: infatti il corpo delle larve è ricoperto di peli urticanti che possono provocare fastidiose irritazioni cutanee o, nei casi più gravi, pericolose irritazioni oculari, alle mucose e alle vie respiratorie.
Il problema si accentua alla fine dell'inverno quando, con l'innalzarsi delle temperature, le larve iniziano ad uscire dai nidi e abbandonano la pianta ospite muovendosi in processione nelle aree circostanti.
Il controllo di processionaria può essere effettuato mediante trattamenti fitosanitari con insetticidi chimici a fine estate – inizio autunno.
Oggigiorno si tende a sostituire la lotta chimica con la lotta integrata la quale ha come obiettivo primario la riduzione dell’impatto ambientale causato dall’uso dei prodotti fitosanitari.
Anche il semplice passaggio dalla lotta a calendario alla lotta in base al superamento della soglia di tolleranza (lotta guidata) rappresenta un passo avanti in senso ecologico. Ma la tutela dell’ecosistema richiede la progressiva sostituzione, ove possibile, del trattamento chimico con altri interventi a minor impatto ambientale.
Premesso che la migliore tecnica di difesa fitosanitaria è rappresentata da misure preventive quali la sostituzione o comunque il non impiego di pino nero e pino silvestre al di fuori della fascia fitoclimatica di appartenenza, le tecniche di lotta utilizzabili vanno dall’antichissima consuetudine di asportare, e successivamente bruciare, i nidi invernali di processionaria (pratica efficace solo in caso di sporadiche infestazioni su pochi esemplari) alle più moderne acquisizioni di lotta biologica.
Se si eccettua l'impiego delle formiche del gruppo Formica rufa, che comunque non riescono a controllare infestazioni elevate in popolamenti forestali caratterizzati da un precario equilibrio ecologico/ambientale, la lotta biologica attualmente prevede due tipi di interventi:
lotta mediante l'utilizzo di feromoni;
lotta con Bacillus thuringiensis.
I feromoni sono particolari sostanze prodotte dalle femmine di molti insetti (fra cui la processionaria) per attirare i maschi e possono essere utilizzati direttamente per la cattura massiva dei maschi ma anche indirettamente per il monitoraggio dei periodi di sfarfallamento degli adulti. La lotta con i feromoni risulta molto interessante per il basso impatto ambientale determinato dalla assoluta specificità e selettività dei feromoni.
Per le catture massali si utilizzano trappole a feromoni che vengono collocate ai primi di giugno (poco prima dello sfarfallamento) sui rami in posizione soleggiata e sul lato sud-ovest dell’albero. Nei parchi e giardini pubblici si mettono da 6 a 8 trappole/ettaro, distanti tra loro 40-50 metri. Nelle pinete vanno sistemate ogni 100 metri lungo il perimetro e le strade di accesso.
Prove effettuate rendono comunque evidente il fatto che il controllo diretto (cattura massiva) risulta essere efficace solo in caso di infestazioni di bassa entità o per singoli esemplari. Pertanto spesso l'uso dei feromoni è limitato ad una funzione di monitoraggio che prevede l'uso di trappole con attrattivi sessuali (i feromoni, appunto) che permettono di segnalare con tempestività l'inizio del volo degli adulti.
Per infestazioni di maggiore entità è preferibile l'uso di Bacillus thuringiensis var. kurstaki, un batterio sporigeno che agisce per ingestione ed esplica il suo effetto a livello degli organi interni delle larve di lepidottero producendo un cristallo proteico. Questo, una volta ingerito dalla larva del lepidottero provoca, inizialmente, la diminuzione dell'appetito e nel giro di 3-4 giorni il decesso.
La sospensione batterica è assolutamente non tossica per gli animali a sangue caldo e non ha alcun effetto collaterale per altri insetti, pesci, rettili e uccelli e pertanto i trattamenti possono essere eseguiti anche su estese aree mediante l'impiego di elicotteri.
Le epoche di intervento sono due: in settembre-ottobre sulle giovani larve e tra la fine di marzo e l'inizio di aprile sulle larve che riprendono l'attività trofica. Dei due, il trattamento autunnale è quello che contiene maggiormente i danni al fogliame a causa delle elevate esigenze alimentari delle giovani larve. Il trattamento deve essere eseguito al crepuscolo poiché il bacillo è fotosensibile e mai in previsione di pioggia in quanto facilmente dilavabile.
La lotta alla Processionaria del pino è obbligatoria su tutto il territorio nazionale ai sensi del D.M. 17 aprile 1998.
Processionaria è però pericolosa anche per l’uomo: infatti il corpo delle larve è ricoperto di peli urticanti che possono provocare fastidiose irritazioni cutanee o, nei casi più gravi, pericolose irritazioni oculari, alle mucose e alle vie respiratorie.
Il problema si accentua alla fine dell'inverno quando, con l'innalzarsi delle temperature, le larve iniziano ad uscire dai nidi e abbandonano la pianta ospite muovendosi in processione nelle aree circostanti.
Il controllo di processionaria può essere effettuato mediante trattamenti fitosanitari con insetticidi chimici a fine estate – inizio autunno.
Oggigiorno si tende a sostituire la lotta chimica con la lotta integrata la quale ha come obiettivo primario la riduzione dell’impatto ambientale causato dall’uso dei prodotti fitosanitari.
Anche il semplice passaggio dalla lotta a calendario alla lotta in base al superamento della soglia di tolleranza (lotta guidata) rappresenta un passo avanti in senso ecologico. Ma la tutela dell’ecosistema richiede la progressiva sostituzione, ove possibile, del trattamento chimico con altri interventi a minor impatto ambientale.
Premesso che la migliore tecnica di difesa fitosanitaria è rappresentata da misure preventive quali la sostituzione o comunque il non impiego di pino nero e pino silvestre al di fuori della fascia fitoclimatica di appartenenza, le tecniche di lotta utilizzabili vanno dall’antichissima consuetudine di asportare, e successivamente bruciare, i nidi invernali di processionaria (pratica efficace solo in caso di sporadiche infestazioni su pochi esemplari) alle più moderne acquisizioni di lotta biologica.
Se si eccettua l'impiego delle formiche del gruppo Formica rufa, che comunque non riescono a controllare infestazioni elevate in popolamenti forestali caratterizzati da un precario equilibrio ecologico/ambientale, la lotta biologica attualmente prevede due tipi di interventi:
lotta mediante l'utilizzo di feromoni;
lotta con Bacillus thuringiensis.
I feromoni sono particolari sostanze prodotte dalle femmine di molti insetti (fra cui la processionaria) per attirare i maschi e possono essere utilizzati direttamente per la cattura massiva dei maschi ma anche indirettamente per il monitoraggio dei periodi di sfarfallamento degli adulti. La lotta con i feromoni risulta molto interessante per il basso impatto ambientale determinato dalla assoluta specificità e selettività dei feromoni.
Per le catture massali si utilizzano trappole a feromoni che vengono collocate ai primi di giugno (poco prima dello sfarfallamento) sui rami in posizione soleggiata e sul lato sud-ovest dell’albero. Nei parchi e giardini pubblici si mettono da 6 a 8 trappole/ettaro, distanti tra loro 40-50 metri. Nelle pinete vanno sistemate ogni 100 metri lungo il perimetro e le strade di accesso.
Prove effettuate rendono comunque evidente il fatto che il controllo diretto (cattura massiva) risulta essere efficace solo in caso di infestazioni di bassa entità o per singoli esemplari. Pertanto spesso l'uso dei feromoni è limitato ad una funzione di monitoraggio che prevede l'uso di trappole con attrattivi sessuali (i feromoni, appunto) che permettono di segnalare con tempestività l'inizio del volo degli adulti.
Per infestazioni di maggiore entità è preferibile l'uso di Bacillus thuringiensis var. kurstaki, un batterio sporigeno che agisce per ingestione ed esplica il suo effetto a livello degli organi interni delle larve di lepidottero producendo un cristallo proteico. Questo, una volta ingerito dalla larva del lepidottero provoca, inizialmente, la diminuzione dell'appetito e nel giro di 3-4 giorni il decesso.
La sospensione batterica è assolutamente non tossica per gli animali a sangue caldo e non ha alcun effetto collaterale per altri insetti, pesci, rettili e uccelli e pertanto i trattamenti possono essere eseguiti anche su estese aree mediante l'impiego di elicotteri.
Le epoche di intervento sono due: in settembre-ottobre sulle giovani larve e tra la fine di marzo e l'inizio di aprile sulle larve che riprendono l'attività trofica. Dei due, il trattamento autunnale è quello che contiene maggiormente i danni al fogliame a causa delle elevate esigenze alimentari delle giovani larve. Il trattamento deve essere eseguito al crepuscolo poiché il bacillo è fotosensibile e mai in previsione di pioggia in quanto facilmente dilavabile.
La lotta alla Processionaria del pino è obbligatoria su tutto il territorio nazionale ai sensi del D.M. 17 aprile 1998.
Erbe infestanti
Con i termini pianta infestante, oppure malerba o, popolarmente, erbaccia, si intende una pianta che, non rivestendo alcuna funzione utile per l'uomo, ne va a danneggiare le produzioni agricole entrando in competizione o parassitizzando queste ultime.In senso più ampio il concetto può essere esteso, oltre che alle piante infestanti i campi coltivati, anche alle piante che, crescendo in città in maniera incontrollata, accentuano il problema delle allergie o fanno percepire come "sporco" o degradato il luogo ove crescono. Alcune piante utili o coltivate possono divenire malerbe nel momento in cui cessa la loro funzione di utilità per l'uomo.
Nel quadro della produzione agricola, come s'è detto, si considerano infestanti le specie non coltivate che si installano in un campo, ma anche la ricrescita di una coltura precedente, come ad esempio:
la ricrescita di cereali in un campo di colza;
la ricrescita di patate in un campo di cereali o di barbabietole;
e così via.
Le infestanti possono essere:
piante perenni, che si riproducono in modo vegetativo, oppure che permangono nel terreno per diversi anni: gramigna, vilucchio, cardo;
piante annuali, più spesso, che si riproducono da seme, spesso con un forte potenziale riproduttivo: amaranto, papavero, avena selvatica, veronica , stellaria, ecc..
La semenza delle infestanti è caratterizzata da:
una grande longevità, dipendente da una forte resistenza al disseccamento e all'asfissia anche in caso di interramento profondo, grazie all'impermeabilità all'acqua e all'aria del loro tegumento;
la presenza nel suolo in grandi quantità.
Alcune specie sono spesso associate a determinate colture: chenopodio e amaranto alle barbabietole, caglio e veronica ai cereali, ecc.
La nocività delle infestanti si presenta sotto 4 aspetti:
concorrenza per la radiazione solare, l'acqua e i nutrienti: le infestanti si alimentano a danno delle colture(concorrenza indiretta). Il peso di questa concorrenza è in funzione della natura delle infestanti, della loro densità, dell'influenza della concimazione e delle condizioni climatiche favorevoli al loro sviluppo.
Deprezzamento della raccolta, in presenza di frammenti di infestanti che diminuiscono la qualità della produzione, o di chicchi di infestanti, come la morella o la carie, che possono alterarne il sapore o indurre effetti tossici. La presenza di ranuncoli, di equiseto, di felci, di colchico o di mercuriali nelle erbacee stoccate in silos o raccolte a secco e non sono consumate fresche dagli animali, può provocare incidenti.
Caglio e chenopodio possono creare intasamenti nelle macchine al momento della raccolta delle barbabietole; la presenza di graminacee infestanti può favorire l'allettamento dei cereali e così danneggiarne la raccolta;
Lo sviluppo di parassiti e di malattie può essere favorito dal microclima creato da infestanti invasive, o dal fatto che esse costituiscono un serbatoio o un rifugio per virus, batteri, funghi, acari o insetti.
L'uso sconsiderato di erbicidi per controllare lo sviluppo delle infestanti ha portato a casi di inquinamento delle acque di superficie e di quelle sotterranee da parte delle sostanze chimiche in essi contenute.
Il controllo delle infestanti si può attuare con l'ausilio di pratiche agronomiche, lavorazioni meccaniche, interventi con mezzi fisici, chimici, biologici o attraverso l'azione combinata di quelli citati.
la ricrescita di cereali in un campo di colza;
la ricrescita di patate in un campo di cereali o di barbabietole;
e così via.
Le infestanti possono essere:
piante perenni, che si riproducono in modo vegetativo, oppure che permangono nel terreno per diversi anni: gramigna, vilucchio, cardo;
piante annuali, più spesso, che si riproducono da seme, spesso con un forte potenziale riproduttivo: amaranto, papavero, avena selvatica, veronica , stellaria, ecc..
La semenza delle infestanti è caratterizzata da:
una grande longevità, dipendente da una forte resistenza al disseccamento e all'asfissia anche in caso di interramento profondo, grazie all'impermeabilità all'acqua e all'aria del loro tegumento;
la presenza nel suolo in grandi quantità.
Alcune specie sono spesso associate a determinate colture: chenopodio e amaranto alle barbabietole, caglio e veronica ai cereali, ecc.
La nocività delle infestanti si presenta sotto 4 aspetti:
concorrenza per la radiazione solare, l'acqua e i nutrienti: le infestanti si alimentano a danno delle colture(concorrenza indiretta). Il peso di questa concorrenza è in funzione della natura delle infestanti, della loro densità, dell'influenza della concimazione e delle condizioni climatiche favorevoli al loro sviluppo.
Deprezzamento della raccolta, in presenza di frammenti di infestanti che diminuiscono la qualità della produzione, o di chicchi di infestanti, come la morella o la carie, che possono alterarne il sapore o indurre effetti tossici. La presenza di ranuncoli, di equiseto, di felci, di colchico o di mercuriali nelle erbacee stoccate in silos o raccolte a secco e non sono consumate fresche dagli animali, può provocare incidenti.
Caglio e chenopodio possono creare intasamenti nelle macchine al momento della raccolta delle barbabietole; la presenza di graminacee infestanti può favorire l'allettamento dei cereali e così danneggiarne la raccolta;
Lo sviluppo di parassiti e di malattie può essere favorito dal microclima creato da infestanti invasive, o dal fatto che esse costituiscono un serbatoio o un rifugio per virus, batteri, funghi, acari o insetti.
L'uso sconsiderato di erbicidi per controllare lo sviluppo delle infestanti ha portato a casi di inquinamento delle acque di superficie e di quelle sotterranee da parte delle sostanze chimiche in essi contenute.
Il controllo delle infestanti si può attuare con l'ausilio di pratiche agronomiche, lavorazioni meccaniche, interventi con mezzi fisici, chimici, biologici o attraverso l'azione combinata di quelli citati.
"Tratto da Wikipedia"
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Le quattro leggi dell' ecologia
1) Ogni cosa è connessa con qualsiasi altra:Questa legge indica la interconnessione tra tutte le specie viventi, in natura non esistono rifiuti:es. ciò che l'uomo produce come rifiuto ossia l'anidride carbonica è utilizzata dalle piante come risorsa. L'uomo col suo inquinamento altera ogni giorno il ciclo naturale degli eventi.
2) Ogni cosa deve finire da qualche parte. Quando buttiamo una cosa pensiamo che essa si volatizzi invece no, finisce inevitabilmente da qualche parte e spesso non produce effetti positivi.
3) La natura è l'unica a sapere il fatto suo. Questo indica esplicitamente l'uomo a non essere così pieno di se e a usare la natura come se potesse renderla a suo indiscriminato servizio. Se la natura ssi ribella l'uomo crolla.
4) Non si distribuiscono pasti gratuiti. Indica sicuramente il fatto che le risorse sono limitate, quindi dobbiamo contenere sempre più gli sprechi.
2) Ogni cosa deve finire da qualche parte. Quando buttiamo una cosa pensiamo che essa si volatizzi invece no, finisce inevitabilmente da qualche parte e spesso non produce effetti positivi.
3) La natura è l'unica a sapere il fatto suo. Questo indica esplicitamente l'uomo a non essere così pieno di se e a usare la natura come se potesse renderla a suo indiscriminato servizio. Se la natura ssi ribella l'uomo crolla.
4) Non si distribuiscono pasti gratuiti. Indica sicuramente il fatto che le risorse sono limitate, quindi dobbiamo contenere sempre più gli sprechi.
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Gli Artropodi
La somiglianza del piano strutturale e dell'embriologia degli Onicofori con quelli degli Anellidi indica la parentela dei due gruppi. Resta da capire quale fattore ambientale o d'altra natura ha determinato la sostituzione della cuticola di collageno con una a base di chitina; quanto alla riduzione del celoma vi sono altri precedenti presso molti anellidi, specialmente presso gli irudinei, e si sa che l' idroscheletro mal si concilia con certe modalità della locomozione. Anche le modifiche dell'apparato circolatorio sono in rapporto con la riduzione del celoma, e con lo sviluppo di una cuticola più resistente.
Il passaggio dal piano strutturale degli Onicofori e dei Tardigradi a quello degli Artropodi è caratterizzato sia dall'irrobustimento e irrigidimento della cuticola che diviene un vero esoscheletro, sia dal fatto che più segmenti anteriori partecipano alla formazione del capo i cui organi di senso si potenziano.
Questa evoluzione, che molto ha contribuito al successo del phylum, merita un esame accurato.
La rigidità dell'esoscheletro ha avuto, in primo luogo, conseguenze di grande portata sul modo di lavorare dei muscoli:
1) Offrendo un attacco stabile alla muscolatura ha permesso ad alcuni organi cavi di aspirare materiale fluido; il primo caso lo si riscontra nel modo di funzionare del vaso dorsale, ma va aggiunto che in moltissimi artropodi il tubo digerente è munito di una faringe o di uno stomaco capace di aspirare cibo fluido.
2) L'esoscheletro, essendo diviso in segmenti rigidi tra loro incernierati che si comportano come bracci di leva consente di moltiplicare e di demoltiplicare la velocità del movimento di un'appendice. In rapporto a ciò si è modificata anche l'ultrastruttura delle fibre muscolari nelle quali i punti di attacco dei filamenti di actina sono evoluti in diaframmi laminari piuttosto vicini, cosa che rende l'accorciamento della fibra molto più rapido ma molto ridotto. La fibra a causa dell'ordinamento geometrico degli elementi costitutivi, inoltre, appare formata da segmenti - o sarcomeri - disposti in fila, vagamente somiglianti a quelli propri dei vertebrati.
I sistemi di leve costituiti dai segmenti dell'esoscheletro permettono inoltre alle appendici di eseguire rapidi movimenti rotatori o di va e vieni che negli animali sprovvisti di scheletro si effettuano male.
In secondo luogo, la chitina, rinforzata da scleroproteine e sali di calcio, offre consistente protezione meccanica ai tessuti sottostanti.
In terzo luogo, e questo è un punto molto importante, l'esoscheletro, di per sé poco permeabile all'acqua, quando è rivestito da uno strato monomolecolare di cera diviene del tutto impermeabile e tale condizione risulta di evidente vantaggio per gli artropodi che vivono fuori dall'acqua. Essa è inoltre indigeribile da parte di quasi tutti gli organismi. Di conseguenza, l'esoscheletro isola in modo eccellente l'ambiente interno ponendolo al riparo da eventuali attacchi di microorganismi e funghi e rendendo possibile un preciso controllo dei suoi parametri da parte dei meccanismi fisiologici.
Senza di ciò gli Artropodi non avrebbero conseguito lo straordinario successo che hanno incontrato nelle acque dolci e nell'ambiente subaereo.
L'esoscheletro, peraltro, presenta un 'inconveniente': essendo pressoché inestensibile si oppone alla crescita del volume corporeo, sicché dev'essere periodicamente abbandonato (esuviazione) e rifatto proprio allo stesso moto che la cuticola dei Nematodi dev'essere rinnovata più volte. Ciò causa uno spreco energetico, e quel ch'è peggio, l'animale al momento della muta incontra difficoltà a muoversi e rimane indifeso dai predatori.
Quanto alla 'cefalizzazione' - cioè all'evoluzione di un capo munito di esoscheletro rigido e organi di senso - è facile presentare convincenti giustificazioni: la rigidità della regione anteriore è opportuna per l'avanzamento rapido nell'acqua e per lo scavo nella sabbia; l'efficienza degli organi di senso, e degli occhi in particolare, è necessaria ad ogni animale che nuoti in prossimità di ostacoli e a ogni animale di fondo esposto ad attacchi dall'alto. Il capo degli artropodi si è accresciuto per aggiunta e saldatura di segmenti del tronco e per trasformazione delle appendici corrispondenti in organi di senso (palpi) o in appendici masticatorie.
Il passaggio dal piano strutturale degli Onicofori e dei Tardigradi a quello degli Artropodi è caratterizzato sia dall'irrobustimento e irrigidimento della cuticola che diviene un vero esoscheletro, sia dal fatto che più segmenti anteriori partecipano alla formazione del capo i cui organi di senso si potenziano.
Questa evoluzione, che molto ha contribuito al successo del phylum, merita un esame accurato.
La rigidità dell'esoscheletro ha avuto, in primo luogo, conseguenze di grande portata sul modo di lavorare dei muscoli:
1) Offrendo un attacco stabile alla muscolatura ha permesso ad alcuni organi cavi di aspirare materiale fluido; il primo caso lo si riscontra nel modo di funzionare del vaso dorsale, ma va aggiunto che in moltissimi artropodi il tubo digerente è munito di una faringe o di uno stomaco capace di aspirare cibo fluido.
2) L'esoscheletro, essendo diviso in segmenti rigidi tra loro incernierati che si comportano come bracci di leva consente di moltiplicare e di demoltiplicare la velocità del movimento di un'appendice. In rapporto a ciò si è modificata anche l'ultrastruttura delle fibre muscolari nelle quali i punti di attacco dei filamenti di actina sono evoluti in diaframmi laminari piuttosto vicini, cosa che rende l'accorciamento della fibra molto più rapido ma molto ridotto. La fibra a causa dell'ordinamento geometrico degli elementi costitutivi, inoltre, appare formata da segmenti - o sarcomeri - disposti in fila, vagamente somiglianti a quelli propri dei vertebrati.
I sistemi di leve costituiti dai segmenti dell'esoscheletro permettono inoltre alle appendici di eseguire rapidi movimenti rotatori o di va e vieni che negli animali sprovvisti di scheletro si effettuano male.
In secondo luogo, la chitina, rinforzata da scleroproteine e sali di calcio, offre consistente protezione meccanica ai tessuti sottostanti.
In terzo luogo, e questo è un punto molto importante, l'esoscheletro, di per sé poco permeabile all'acqua, quando è rivestito da uno strato monomolecolare di cera diviene del tutto impermeabile e tale condizione risulta di evidente vantaggio per gli artropodi che vivono fuori dall'acqua. Essa è inoltre indigeribile da parte di quasi tutti gli organismi. Di conseguenza, l'esoscheletro isola in modo eccellente l'ambiente interno ponendolo al riparo da eventuali attacchi di microorganismi e funghi e rendendo possibile un preciso controllo dei suoi parametri da parte dei meccanismi fisiologici.
Senza di ciò gli Artropodi non avrebbero conseguito lo straordinario successo che hanno incontrato nelle acque dolci e nell'ambiente subaereo.
L'esoscheletro, peraltro, presenta un 'inconveniente': essendo pressoché inestensibile si oppone alla crescita del volume corporeo, sicché dev'essere periodicamente abbandonato (esuviazione) e rifatto proprio allo stesso moto che la cuticola dei Nematodi dev'essere rinnovata più volte. Ciò causa uno spreco energetico, e quel ch'è peggio, l'animale al momento della muta incontra difficoltà a muoversi e rimane indifeso dai predatori.
Quanto alla 'cefalizzazione' - cioè all'evoluzione di un capo munito di esoscheletro rigido e organi di senso - è facile presentare convincenti giustificazioni: la rigidità della regione anteriore è opportuna per l'avanzamento rapido nell'acqua e per lo scavo nella sabbia; l'efficienza degli organi di senso, e degli occhi in particolare, è necessaria ad ogni animale che nuoti in prossimità di ostacoli e a ogni animale di fondo esposto ad attacchi dall'alto. Il capo degli artropodi si è accresciuto per aggiunta e saldatura di segmenti del tronco e per trasformazione delle appendici corrispondenti in organi di senso (palpi) o in appendici masticatorie.
Lotta biologica - Metodo inoculativo
Si tratta del metodo più applicato, attualmente, nell'ambito della lotta biologica integrale e, per estensione, nella lotta integrata. Il metodo consiste nella liberazione periodica di esemplari di una specie, autoctona o introdotta, già presente nell'agrosistema. Molte specie beneficiano di una periodica reintroduzione perché la popolazione deve essere sistematicamente ripristinata o perché il potenziale biologico è indebolito da specifiche condizioni ambientali sfavorevoli. Molti ausiliari esotici, pur essendo efficaci nel controllo di un determinato fitofago fuori dal loro ambiente d'origine, non si acclimatano stabilmente nel nuovo ambiente a causa delle differenti condizioni climatiche: ad esempio, i rigori invernali possono impedire lo svernamento della specie, perciò ogni anno si deve procedere alla reintroduzione dell'ausiliario. Rientra in questo caso l'esempio, citato sopra, dell'allevamento massale del Cryptolaemus montrouzieri allo scopo di ripopolare ogni anno gli agrumeti delle zone più interne della California, negli anni venti. Un secondo motivo, piuttosto frequente, che rende necessario il ricorso al metodo inoculativo, è la riduzione della Opius concolor nella lotta biologica contro la mosca delle olive. Questo parassitoide, originario del Nordafrica, ha difficoltà di acclimatazione in Italia sia per le condizioni climatiche sfavorevoli durante l'inverno, sia per la carenza di ospiti alternativi quando cessano le infestazioni della mosca. Infatti, l'Opius è una specie polifaga che, nel suo ambiente d'origine, svolge diverse generazioni a spese di Ditteri Tefritidi associati a piante spontanee del Nordafrica, mentre in Italia è fondamentalmente monofago per la carenza di ospiti alternativi. Va infine citato il caso, altrettanto frequente, della riduzione del potenziale biologico di molti predatori e parassitoidi causata dai trattamenti fitoiatrici o da altri interventi agronomici più o meno razionali (ad esempio la distruzione dei residui di potatura). È noto, ad esempio, che frequenti trattamenti insetticidi possono portare a inaspettate pullulazioni di Acari fitofagi a causa degli effetti deleteri sui naturali predatori (per lo più Acari Fitoseidi). Lo stesso problema si presenta nei confronti di alcuni parassitoidi esotici, come l'Aphelinus mali e la Prospaltella berlesei, che pur essendo perfettamente acclimatati in Italia, difficilmente riescono a svolgere il loro ruolo naturale a causa del frequente ricorso ad insetticidi poco selettivi nei meleti e nei pescheti. Il metodo inoculativo può essere applicato in modo mirato ricorrendo a lanci programmati di insetti provenienti da allevamenti massali, come nell'esempio visto del C. montrouzieri, oppure può essere adottato ricorrendo a semplici accorgimenti: ad esempio la raccolta di materiale infestato (frutti, foglie, rametti) in cui è accertata la presenza di una discreta percentuale di parassitizzazione può essere utile per realizzare piccoli allevamenti massali o per garantire la sopravvivenza degli ausiliari prima dell'esecuzione di un trattamento chimico. In questi casi la lotta biologica condotta con il metodo inoculativo ha più le prerogative di un supporto alla lotta integrata.
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I nematodi
I nematodi, detti vermi cilindrici, costituiscono il phylum più ampio degli pseudocelomati o aschelminti (12000 specie descritte; quelle ancora non descritte sarebbero più numerose di quelle descritte). Nematodi a vita libera si possono rinvenire nel mare, nelle acque dolci e nel terreno; molte specie sono parassite. Da un punto di vista ecologico i nematodi sono ubiquitari, essi sono, infatti, presenti nelle regioni polari, nei tropici, nei deserti, montagne, grandi profondita' marine, occupando anche habitat acquatici molto particolari, che comprendono sorgenti calde (nelle quali la temperatura può raggiungere 53 gradi centigradi) e grandi laghi. Benchè i nematodi siano presenti in numeri enormi nello strato superiore del suolo, la loro densità decresce rapidamente a maggiori profondità.
Una fauna caratteristica di nematodi è presente nei muschi e licheni la quale è in grado di sopportare disseccamento periodico. Durante tali periodi i vermi passano in uno stato di criptobiosi cioè vita nascosta. Oltre a specie libere, vi sono molti nematodi parassiti che attaccano praticamente tutti i gruppi di piante e animali. Le numerose specie che infestano colture alimentari, animali domestici e l' uomo rendono questo phylum uno dei gruppi di animali parassiti più importanti. La maggior parte dei nematodi è lunga meno di cinque centimetri e molti sono microscopici.
Il rivestimento esterno del corpo è rappresentato da una cuticola non cellulare, relativamente spessa, secreta dall'epidermide sottostante (ipoderma). L' ipoderma è sinciziale ed i suoi nuclei sono collocati in quattro cordoni ipodermici: cordone dorsale e ventrale sono sporgenti verso l'interno e contengono nervi longitudinali dorsale e ventrale mentre i cordoni laterali contengono canali escretori. La cuticola è di grande importanza funzionale, agendo da antagonista all' elevata pressione idrostatica, esercitata dal liquido dello pseudocele, questo perchè i nematodi non hanno muscoli circolari nella parete del corpo (antagonisti dei muscoli longitudinali) e ciò consente un certo allungamento ed una compressione longitudinale.
Pertanto la compressione della cuticola sul lato della contrazione muscolare e l' allungamento sul lato opposto, sono le forze che riportano il corpo nella posizione di riposo, quando i muscoli si rilassano; questo produce il caratteristico movimento ondulatorio dei nematodi. I numerosi strati di cuticola sono composti soprattutto da collagene, proteina strutturale abbondante anche nel tessuto connettivo dei vertebrati. Ci sono tre strati, composti da fibre di proteine che si incrociano e ciò conferisce una certa elasticità longitudinale al verme ma limita la sua capacità di espansione laterale. La cuticola flessibile è fatta di materiale non vivente, manca di ciglia o flagelli mobili (con eccezione di una sola specie).
I muscoli della parete del corpo di un nematode sono estremamente atipici. Essi presentano caratteristiche insolite, quale l' essere disposti solo longitudinalmente e presentano l' eutelia (numero costante di cellule o nuclei negli individui adulti di una determinata specie). I muscoli sono situati sotto l'ipoderma e si contraggono solo longitudinalmente.
La muscolatura si dispone in quattro bande, divisi dai quattro cordoni ipodermici. Ciascuna cellula muscolare ha: una porzione fibrillare contrattile (o fuso) che è distale e si congiunge con l'ipoderma ed una porzione sarcoplasmatica (corpo cellulare), non contrattile che sporge nello pseudocele. Il fuso è striato con bande di actina e miosina, che ricordano il muscolo scheletrico dei vertebrati. I corpi cellulari contengono i nuclei e costituiscono per il verme il maggior deposito di glicogeno. Normalmente i muscoli sono disposti in maniera antagonista, cosicchè il movimento è effettuato per contrazione di un gruppo di muscoli e rilassamento dell'altro. I nematodi, invece, non hanno muscoli circolari nella parete del corpo antagonisti dei muscoli longitudinali, perciò, questa funzione deve essere svolta dalla cuticola. Ciò impedisce un'espansione radiale, ma consente un certo allungamento ed una certa compressione longitudinale.
Canale alimentare: consiste di una bocca, di una faringe muscolare, di un lungo intestino, privo di muscolatura, di un colon retto e di un ano terminale. Quando si ha la contrazione rapida dei muscoli della porzione anteriore della faringe, si apre il lume ed il cibo viene risucchiato nella faringe; quando invece si ha il rilassamento dei muscoli anteriori, il lume della faringe si chiude ed il cibo viene spinto posteriormente verso l'intestino e ciò è dovuto ai movimenti del corpo e al cibo aggiunto. L' intestino ha lo spessore di uno strato monocellulare. La defecazione è realizzata da muscoli che mantengono aperto l'ano e la forza per l' espulsione viene fornita dalla pressione pseudocelomatica.
Metabolismo: i nematodi parassiti hanno un metabolismo anaerobio; pertanto, il ciclo di Krebs ed il sistema dei citocromi, caratteristici del metabolismo aerobio sono assenti. L' energia viene ottenuta attraverso la glicolisi e probabilmente attraverso alcune sequenze di trasporto di elettroni, ancora non completamente conosciute. Alcuni nematodi a vita libera e stadi liberi di forme parassite sono aerobi obbligati e presentano sia il ciclo di Krebs che il sistema dei citocromi.
Sistema riproduttivo: il maschio nella sua estremità posteriore porta di solito un paio di spicole copulatrici che non sono dei veri organi introducenti, poichè esse non trasmettono lo sperma, ma costituiscono un altro adattamento per far fronte all' elevata pressione idrostatica interna. Le spicole devono mantenere la vulva della femmina aperta mentre i muscoli eiaculatori (superando la pressione idrostatica della femmina) iniettano rapidamente gli spermatozoi nel suo tratto riproduttivo. Gli spermatozoi dei nematodi sono unici nel regno animale poichè sono privi di flagello ed acrosoma. All' interno del tratto riproduttivo della femmina lo spermatozoo diventa ameboide e si muove con movimenti pseudopodiali (potrebbe essere un altro adattamento all'elevata pressione idrostatica dello pseudocele). La maggior parte dei nematodi possiede sessi quasi sempre separati, con il maschio di solito più piccolo della femmina; la fecondazione è interna e le uova di solito vengono tenute nell'utero fino alla deposizione. Dopo lo sviluppo embrionale dall'uovo schiude una forma larvale. Molti nematodi parassiti hanno stadi larvali a vita libera. Altri richiedono un ospite intermedio per completare il loro ciclo vitale.
Sistema nervoso: costituito da gangli e da un anello di tessuto nervoso intorno alla faringe danno origine a piccoli nervi diretti verso l'estremità anteriore ed a due cordoni nervosi più grandi, uno dorsale ed uno ventrale; organi di senso formati da papille sensoriali (concentrate intorno al capo e alla coda), anfidi che sono una coppia di organi sensoriali complessi, che si aprono da ciascun lato del capo. Gli anfidi sono di solito ridotti nei nematodi parassiti degli animali, ma la maggior parte dei nematodi parassiti porta un paio di fasmidi bilaterali, simili per struttura agli anfidi, però posti all' estremità posteriore.
Una fauna caratteristica di nematodi è presente nei muschi e licheni la quale è in grado di sopportare disseccamento periodico. Durante tali periodi i vermi passano in uno stato di criptobiosi cioè vita nascosta. Oltre a specie libere, vi sono molti nematodi parassiti che attaccano praticamente tutti i gruppi di piante e animali. Le numerose specie che infestano colture alimentari, animali domestici e l' uomo rendono questo phylum uno dei gruppi di animali parassiti più importanti. La maggior parte dei nematodi è lunga meno di cinque centimetri e molti sono microscopici.
Il rivestimento esterno del corpo è rappresentato da una cuticola non cellulare, relativamente spessa, secreta dall'epidermide sottostante (ipoderma). L' ipoderma è sinciziale ed i suoi nuclei sono collocati in quattro cordoni ipodermici: cordone dorsale e ventrale sono sporgenti verso l'interno e contengono nervi longitudinali dorsale e ventrale mentre i cordoni laterali contengono canali escretori. La cuticola è di grande importanza funzionale, agendo da antagonista all' elevata pressione idrostatica, esercitata dal liquido dello pseudocele, questo perchè i nematodi non hanno muscoli circolari nella parete del corpo (antagonisti dei muscoli longitudinali) e ciò consente un certo allungamento ed una compressione longitudinale.
Pertanto la compressione della cuticola sul lato della contrazione muscolare e l' allungamento sul lato opposto, sono le forze che riportano il corpo nella posizione di riposo, quando i muscoli si rilassano; questo produce il caratteristico movimento ondulatorio dei nematodi. I numerosi strati di cuticola sono composti soprattutto da collagene, proteina strutturale abbondante anche nel tessuto connettivo dei vertebrati. Ci sono tre strati, composti da fibre di proteine che si incrociano e ciò conferisce una certa elasticità longitudinale al verme ma limita la sua capacità di espansione laterale. La cuticola flessibile è fatta di materiale non vivente, manca di ciglia o flagelli mobili (con eccezione di una sola specie).
I muscoli della parete del corpo di un nematode sono estremamente atipici. Essi presentano caratteristiche insolite, quale l' essere disposti solo longitudinalmente e presentano l' eutelia (numero costante di cellule o nuclei negli individui adulti di una determinata specie). I muscoli sono situati sotto l'ipoderma e si contraggono solo longitudinalmente.
La muscolatura si dispone in quattro bande, divisi dai quattro cordoni ipodermici. Ciascuna cellula muscolare ha: una porzione fibrillare contrattile (o fuso) che è distale e si congiunge con l'ipoderma ed una porzione sarcoplasmatica (corpo cellulare), non contrattile che sporge nello pseudocele. Il fuso è striato con bande di actina e miosina, che ricordano il muscolo scheletrico dei vertebrati. I corpi cellulari contengono i nuclei e costituiscono per il verme il maggior deposito di glicogeno. Normalmente i muscoli sono disposti in maniera antagonista, cosicchè il movimento è effettuato per contrazione di un gruppo di muscoli e rilassamento dell'altro. I nematodi, invece, non hanno muscoli circolari nella parete del corpo antagonisti dei muscoli longitudinali, perciò, questa funzione deve essere svolta dalla cuticola. Ciò impedisce un'espansione radiale, ma consente un certo allungamento ed una certa compressione longitudinale.
Canale alimentare: consiste di una bocca, di una faringe muscolare, di un lungo intestino, privo di muscolatura, di un colon retto e di un ano terminale. Quando si ha la contrazione rapida dei muscoli della porzione anteriore della faringe, si apre il lume ed il cibo viene risucchiato nella faringe; quando invece si ha il rilassamento dei muscoli anteriori, il lume della faringe si chiude ed il cibo viene spinto posteriormente verso l'intestino e ciò è dovuto ai movimenti del corpo e al cibo aggiunto. L' intestino ha lo spessore di uno strato monocellulare. La defecazione è realizzata da muscoli che mantengono aperto l'ano e la forza per l' espulsione viene fornita dalla pressione pseudocelomatica.
Metabolismo: i nematodi parassiti hanno un metabolismo anaerobio; pertanto, il ciclo di Krebs ed il sistema dei citocromi, caratteristici del metabolismo aerobio sono assenti. L' energia viene ottenuta attraverso la glicolisi e probabilmente attraverso alcune sequenze di trasporto di elettroni, ancora non completamente conosciute. Alcuni nematodi a vita libera e stadi liberi di forme parassite sono aerobi obbligati e presentano sia il ciclo di Krebs che il sistema dei citocromi.
Sistema riproduttivo: il maschio nella sua estremità posteriore porta di solito un paio di spicole copulatrici che non sono dei veri organi introducenti, poichè esse non trasmettono lo sperma, ma costituiscono un altro adattamento per far fronte all' elevata pressione idrostatica interna. Le spicole devono mantenere la vulva della femmina aperta mentre i muscoli eiaculatori (superando la pressione idrostatica della femmina) iniettano rapidamente gli spermatozoi nel suo tratto riproduttivo. Gli spermatozoi dei nematodi sono unici nel regno animale poichè sono privi di flagello ed acrosoma. All' interno del tratto riproduttivo della femmina lo spermatozoo diventa ameboide e si muove con movimenti pseudopodiali (potrebbe essere un altro adattamento all'elevata pressione idrostatica dello pseudocele). La maggior parte dei nematodi possiede sessi quasi sempre separati, con il maschio di solito più piccolo della femmina; la fecondazione è interna e le uova di solito vengono tenute nell'utero fino alla deposizione. Dopo lo sviluppo embrionale dall'uovo schiude una forma larvale. Molti nematodi parassiti hanno stadi larvali a vita libera. Altri richiedono un ospite intermedio per completare il loro ciclo vitale.
Sistema nervoso: costituito da gangli e da un anello di tessuto nervoso intorno alla faringe danno origine a piccoli nervi diretti verso l'estremità anteriore ed a due cordoni nervosi più grandi, uno dorsale ed uno ventrale; organi di senso formati da papille sensoriali (concentrate intorno al capo e alla coda), anfidi che sono una coppia di organi sensoriali complessi, che si aprono da ciascun lato del capo. Gli anfidi sono di solito ridotti nei nematodi parassiti degli animali, ma la maggior parte dei nematodi parassiti porta un paio di fasmidi bilaterali, simili per struttura agli anfidi, però posti all' estremità posteriore.
Lotta biologica - Metodo inondativo
Questo metodo consiste nella liberazione di un numero elevato di esemplari di un predatore o un parassitoide in modo tale da alterare sensibilmente i rapporti numerici fra la popolazione del fitofago e quella dell'antagonista. Questo metodo presuppone la possibilità che l'antagonista possa essere allevato e moltiplicato in un allevamento massale. Per le sue prerogative si colloca a metà strada fra la lotta biologica propriamente detta e la lotta biotecnica e presenta molte analogie con la lotta microbiologica in quanto si pone l'obiettivo di ridurre in tempi brevi la popolazione del fitofago. Il metodo inondativo è stato spesso oggetto di critiche e polemiche per diversi motivi. A prescindere dagli elevati costi che possono riguardare gli allevamenti massali, spesso il metodo inondativo ha dato risultati inferiori alle aspettative o contraddittori. Una delle applicazioni di maggiore portata si ebbe fra gli anni venti e gli anni quaranta nella difesa della canna da zucchero contro i Lepidotteri. Si avviò l'allevamento massale di alcune specie di Trichogramma, Imenotteri predatori oofagi, e per diversi anni questi ausiliari furono liberati nelle coltivazioni di canna da zucchero in un areale che si estendeva dagli Stati Uniti d'America del sud fino alle Antille e alla Guyana. A parte la vastità del territorio, è impressionante la densità dei lanci, in quanto si procedeva con la liberazione di 300.000 esemplari ad acro ogni mese. Questa iniziativa fu ampiamente contestata per la procedura adottata, a causa delle limitate conoscenze sulla determinazione tassonomica all'interno dei Trichogramma. Le principali critiche a questo metodo vertono su due punti fondamentali. Da un lato esiste il rischio di allevamento di specie o razze o tipi genetici differenti da quelli realmente attivi nell'ambiente naturale. Questo aspetto fu messo in evidenza dalle polemiche nate contro il Trichogramma method, al quale s'imputava una non adeguata caratterizzazione sistematica degli ausiliari impiegati in relazione alla morfologia, alla biologia, all'etologia. L'altra critica verte sull'impatto ecologico sulla popolazione dei tipi selvatici derivante dall'immissione di una grande quantità di tipi genetici specifici isolati e moltiplicati su larga scala in laboratorio: secondo le critiche, questa pratica incrementa la geni, con conseguenze negative sulla variabilità genetica della specie.
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LA FITOIATRIA
La fitoiatria è una scienza che studia il modo di curare le piante e tutti i metodi e mezzi di prevenzione e di lotta contro i patogeni per prevenire la perdita di prodotto.
Gli agenti patogeni sono:
batteri, funghi, insetti.
Nella diffusione della malattia si può avere l'Endemia o l'Epidemia.
Nell'Endemia l' agente che provoca la malattia, ha una diffusione sporadica e la manifestazione non assume qualitivamente e quantitativamente importanza per la produzione. L' Epidemia si ha quando la malattia è cosi diffusa che tende alla distruzione di una popolazione di un' intera specie.
Alla fitoiatria interessa quindi l' Epidemia. Nelle epidemia si distinguono due aspetti: qualitativo ( il tipo di danno che si puo avere) e quantitativo la frequenza della malattia in percentuale. L'aggresività di un patogeno può aumentare o diminuire , il patogeno può diventare piu aggresivo perchè seleziona ceppi più resistenti ai fitofarmaci in uso in quel momento.L'ambiente ai fini dell'infezione deve essere idoneo al patogeno.
Integrazione e pianificazione Interventi Agronomici: lavorazioni del terreno, potatura, concimazione, irrigazione. Fisici: eliminazione dei residui infetti, protezione delle ferite, protezione dalle avversità meteoriche. Chimici: utilizzo di principi attivi mirati contro il patogeno. Biologici: utilizzo di bioinsetticidi (bacillus thuringiensis), lancio di predatori e parassitoidi, conservazione della fauna utile.
Gli agenti patogeni sono:
batteri, funghi, insetti.
Nella diffusione della malattia si può avere l'Endemia o l'Epidemia.
Nell'Endemia l' agente che provoca la malattia, ha una diffusione sporadica e la manifestazione non assume qualitivamente e quantitativamente importanza per la produzione. L' Epidemia si ha quando la malattia è cosi diffusa che tende alla distruzione di una popolazione di un' intera specie.
Alla fitoiatria interessa quindi l' Epidemia. Nelle epidemia si distinguono due aspetti: qualitativo ( il tipo di danno che si puo avere) e quantitativo la frequenza della malattia in percentuale. L'aggresività di un patogeno può aumentare o diminuire , il patogeno può diventare piu aggresivo perchè seleziona ceppi più resistenti ai fitofarmaci in uso in quel momento.L'ambiente ai fini dell'infezione deve essere idoneo al patogeno.
Integrazione e pianificazione Interventi Agronomici: lavorazioni del terreno, potatura, concimazione, irrigazione. Fisici: eliminazione dei residui infetti, protezione delle ferite, protezione dalle avversità meteoriche. Chimici: utilizzo di principi attivi mirati contro il patogeno. Biologici: utilizzo di bioinsetticidi (bacillus thuringiensis), lancio di predatori e parassitoidi, conservazione della fauna utile.
Lotta biologica - Metodo propagativo
Questo metodo consiste nell'introduzione di uno o più nemici naturali del fitofago che si vuole combattere, importandoli dall'areale d'origine del fitofago. L'obiettivo del metodo propagativo è quello di far acclimatare nel nuovo ambiente gli organismi ausiliari introdotti e riprodurre in questo modo le condizioni che nell'areale di origine consentono una regolazione naturale della dinamica della popolazione del fitofago. Un esempio pratico del metodo propagativo è quello che ha permesso il controllo biologico dell'Icerya purchasi con la Rodolia cardinalis. Il metodo propagativo è quello più efficace in una prospettiva di lungo termine, perché risolve definitivamente il problema di un fitofago grazie alla sua intrinseca capacità di mantenersi autonomamente, tuttavia il successo del metodo propagativo è subordinato all'esistenza di condizioni che ne permettano l'applicazione. Per questa ragione, nell'arco di un secolo di tentativi di applicazione, i successi realizzati integralmente con il metodo propagativo si riducono a poche decine di casi. Il metodo propagativo si può applicare con due differenti approcci: Introduzione di una sola specie antagonista. Introduzione di più specie antagoniste. Le due strategie non sono equamente condivise dagli studiosi. Ad esempio, Berlese riteneva che l'introduzione di più ausiliari fosse dannosa perché l'occupazione della stessa nicchia ecologica era causa di una competizione interspecifica che riduceva l'efficacia dell'entomofago più attivo; sul fronte opposto, Silvestri era un fautore dell'introduzione del maggior numero possibile di nemici naturali provenienti da diverse regioni. Le esperienze maturate hanno messo in rilievo una maggiore efficacia del secondo approccio rispetto al primo: difficilmente si riesce a controllare un fitofago introducendo una sola specie antagonista, mentre le prospettive di successo aumentano con l'introduzione di più specie, soprattutto quando queste sono in grado di adattarsi a nicchie ecologiche e/o a microambienti differenti. In genere anche nei casi di effettiva competizione fra gli ausiliari, difficilmente si ha una perdita di efficacia del controllo biologico.
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Diego Fresu,
Lotta biologica
il fosforo nel suolo e nella pianta
Fosforo
Breve descrizione
macroelemento(simbolo chimico P) che si trova come composto base degli acidi nucleici, nelle sostanze di riserva dei semi, nei composti energetici (ATP, ADP). Nella pratica favorisce la crescita delle radici, la fioritura , la maturazione dei frutti e la resistenza meccanica dei tessuti della pianta.
Scheda tecnica
FOSFORO NEL SUOLOIl contenuto totale di fosforo nel suolo oscilla tra lo 0,02 e lo 0,15%. Di questo, quantità variabili dal 20 all'80% si trovano sotto forma organica. L'elemento è quasi sempre presente come anione dell'acido ortofosforico e come tale viene assorbito e traslocato nelle pari epigee della pianta.I fosfati, con riferimento alla nutrizione delle piante, possono essere suddivisi in tre frazioni: - fosfati solubili- fosfati del "pool labile"- fosfati del "pool non labile"La solubilità dei fosfati è regolata dal pH: a pH neutro si ha la massima solubilità dei fosfati mentre a pH basici e acidi si ha una precipitazione del fosforo rispettivamente sottoforma di fosfati di calcio e di ferro o alluminio.Il "pool labile" consiste di fosfati adsorbiti sugli scambiatori del suolo ed in equilibrio con i fosfati in fase liquida.Il "pool non labile" comprende i fosfati insolubili che solo molto lentamente possono essere rilasciati nel "pool labile". Apatiti, fosfati di ferro e di allumino e composti organici del fosforo sono i principali costituenti di questa frazione.Fosfati adsorbiti e fosfati presenti in soluzione si trovano in equilibrio dinamico. Conseguentemente, i fosfati che gradualmente vengono assorbiti dalle radici delle piante sono compensati da quelli che si allontanano dalla superficie degli scambiatori. Il fosforo liberato dai costituenti organici si distribuisce tra le forme di fosfato solubili e quelle assorbite sugli scambiatori. Nel tempo, gli ioni fosfato adsorbiti tendono ad evolversi verso strutture cristalline con conseguente forte limitazione della mobilità del nutriente. Parte del "pool labile" viene trasferita nel "pool non labile".FOSFORO NELLE PIANTELe piante assorbono il fosforo sottoforma di anione. Il fosfato assorbito viene molto rapidamente coinvolto in processi metabolici ed immobilizzato in composti organici.Nella pianta il fosfato risulta molto mobile e può essere traslocato in ogni direzione. Le foglie giovani ricevono non solamente il fosfato assorbito dalle radici ma anche quello proveniente dalle foglie vecchie. P fosforo è presente nei fosfolipidi, costituenti delle membrane cellulari, negli acidi nucleici (DNA e RNA), nelle molecole di ATP e ADP, che costituiscono il sistema principale di scambio dell'energia nei sistemi biologici, e nella fitina, presente nei semi come riserva dell'elemento da utilizzare durante la germinazione.Una carenza di fosforo limita la formazione di RNA e riduce la sintesi proteica. In carenza di fosforo, conseguentemente si accerta nei tessuti vegetali accumulo di composti azotati a basso peso molecolare. Le piante mostrano crescita stentata, limitato sviluppo dell'apparato radicale e steli sottili. La produzione è compromessa sia qualitativamente che quantitativamente.I primi sintomi di carenza si manifestano nelle foglie più vecchie che assumono intensa colorazione verde. Nelle piante da frutto le foglie si presentano di colore scuro e cadono precocemente. Gli steli di molte piante erbacee annuali si colorano di rosso per aumento del contenuto in antocianine.
Breve descrizione
macroelemento(simbolo chimico P) che si trova come composto base degli acidi nucleici, nelle sostanze di riserva dei semi, nei composti energetici (ATP, ADP). Nella pratica favorisce la crescita delle radici, la fioritura , la maturazione dei frutti e la resistenza meccanica dei tessuti della pianta.
Scheda tecnica
FOSFORO NEL SUOLOIl contenuto totale di fosforo nel suolo oscilla tra lo 0,02 e lo 0,15%. Di questo, quantità variabili dal 20 all'80% si trovano sotto forma organica. L'elemento è quasi sempre presente come anione dell'acido ortofosforico e come tale viene assorbito e traslocato nelle pari epigee della pianta.I fosfati, con riferimento alla nutrizione delle piante, possono essere suddivisi in tre frazioni: - fosfati solubili- fosfati del "pool labile"- fosfati del "pool non labile"La solubilità dei fosfati è regolata dal pH: a pH neutro si ha la massima solubilità dei fosfati mentre a pH basici e acidi si ha una precipitazione del fosforo rispettivamente sottoforma di fosfati di calcio e di ferro o alluminio.Il "pool labile" consiste di fosfati adsorbiti sugli scambiatori del suolo ed in equilibrio con i fosfati in fase liquida.Il "pool non labile" comprende i fosfati insolubili che solo molto lentamente possono essere rilasciati nel "pool labile". Apatiti, fosfati di ferro e di allumino e composti organici del fosforo sono i principali costituenti di questa frazione.Fosfati adsorbiti e fosfati presenti in soluzione si trovano in equilibrio dinamico. Conseguentemente, i fosfati che gradualmente vengono assorbiti dalle radici delle piante sono compensati da quelli che si allontanano dalla superficie degli scambiatori. Il fosforo liberato dai costituenti organici si distribuisce tra le forme di fosfato solubili e quelle assorbite sugli scambiatori. Nel tempo, gli ioni fosfato adsorbiti tendono ad evolversi verso strutture cristalline con conseguente forte limitazione della mobilità del nutriente. Parte del "pool labile" viene trasferita nel "pool non labile".FOSFORO NELLE PIANTELe piante assorbono il fosforo sottoforma di anione. Il fosfato assorbito viene molto rapidamente coinvolto in processi metabolici ed immobilizzato in composti organici.Nella pianta il fosfato risulta molto mobile e può essere traslocato in ogni direzione. Le foglie giovani ricevono non solamente il fosfato assorbito dalle radici ma anche quello proveniente dalle foglie vecchie. P fosforo è presente nei fosfolipidi, costituenti delle membrane cellulari, negli acidi nucleici (DNA e RNA), nelle molecole di ATP e ADP, che costituiscono il sistema principale di scambio dell'energia nei sistemi biologici, e nella fitina, presente nei semi come riserva dell'elemento da utilizzare durante la germinazione.Una carenza di fosforo limita la formazione di RNA e riduce la sintesi proteica. In carenza di fosforo, conseguentemente si accerta nei tessuti vegetali accumulo di composti azotati a basso peso molecolare. Le piante mostrano crescita stentata, limitato sviluppo dell'apparato radicale e steli sottili. La produzione è compromessa sia qualitativamente che quantitativamente.I primi sintomi di carenza si manifestano nelle foglie più vecchie che assumono intensa colorazione verde. Nelle piante da frutto le foglie si presentano di colore scuro e cadono precocemente. Gli steli di molte piante erbacee annuali si colorano di rosso per aumento del contenuto in antocianine.
Biocombustibili
La produzione di bioenergia, cioè l'utilizzazione a fini energetici di quel vasto insieme di materie prime di origine biologica che viene genericamente indicato con il nome di biomasse, è in Italia una realtà consolidata da tempo, anche se, al momento attuale, il contributo complessivo di questa fonte al bilancio energetico nazionale è ancora abbastanza limitato, in quanto corrisponde solo al 2% circa del totale dei consumi finali di energia. La quantità di energia prodotta (4,07 Mtep - milioni di tonnellate equivalenti di petrolio - nel 2005) è però solo una frazione di quella teoricamente ottenibile, per la quale esistono stime differenti, ma tutte generalmente superiori ai 25 Mtep.
Relativamente al settore dei trasporti, i biocombustibili liquidi, o biocarburanti, rivestono un ruolo importante nella definizione della nuova politica energetica ed ambientale europea e tale importanza è stata riconosciuta con l'emanazione della Direttiva 2003/30/CE dell'8 maggio 2003 e, più recentemente, con le decisioni del Consiglio Europeo dell'8 e 9 marzo 2007, che stabiliscono l'obiettivo, per ogni stato membro, della sostituzione dei carburanti derivanti dal petrolio con biocarburanti per una quota pari al 10% nel 2020.
Più in generale, alla luce dei nuovi indirizzi della Politica Agricola Comune (PAC), lo sviluppo dei biocombustibili e biocarburanti è considerato uno dei cardini per il rilancio e il rafforzamento dell’agricoltura europea, con i conseguenti riflessi positivi in termini di occupazione e sviluppo rurale, oltre a livello ambientale, sia su scala locale (tutela degli agro-ecosistemi), che globale (mitigazione dell'effetto serra). In questo contesto si inserisce il Progetto Biocombustibili mirato alla sviluppo di attività di ricerca e sperimentazione per la produzione di biocombustibili ottenuti da biomasse agro-forestale e di biocarburanti di seconda generazione provenienti dalla conversione di biomasse lignocellulosiche di varia natura, ivi incluse quelle ottenute da specifiche colture energetiche.
In particolare, si prevede la realizzazione di sistemi integrati dimostrativi, sviluppo e promozione di processi e tecnologie innovative per incrementare la produzione di biocombustibili e biocarburanti in sostituzione degli analoghi prodotti di origine fossile. Saranno sviluppate attività di R&ST per la produzione e l’uso dei biocombustibili ottenuti a partire da biomasse agro-forestali e biocarburanti da materie prime agricole, quali etanolo, oli vegetali per la produzione di energia elettrica e biodiesel e biocarburanti di seconda generazione provenienti dalla conversione di biomasse lignocellulosiche di varia natura, incluse quelle ottenute da specifiche colture energetiche (etanolo, BTL ecc.), o da colture di microalghe (biodiesel, bioidrogeno).
Relativamente al settore dei trasporti, i biocombustibili liquidi, o biocarburanti, rivestono un ruolo importante nella definizione della nuova politica energetica ed ambientale europea e tale importanza è stata riconosciuta con l'emanazione della Direttiva 2003/30/CE dell'8 maggio 2003 e, più recentemente, con le decisioni del Consiglio Europeo dell'8 e 9 marzo 2007, che stabiliscono l'obiettivo, per ogni stato membro, della sostituzione dei carburanti derivanti dal petrolio con biocarburanti per una quota pari al 10% nel 2020.
Più in generale, alla luce dei nuovi indirizzi della Politica Agricola Comune (PAC), lo sviluppo dei biocombustibili e biocarburanti è considerato uno dei cardini per il rilancio e il rafforzamento dell’agricoltura europea, con i conseguenti riflessi positivi in termini di occupazione e sviluppo rurale, oltre a livello ambientale, sia su scala locale (tutela degli agro-ecosistemi), che globale (mitigazione dell'effetto serra). In questo contesto si inserisce il Progetto Biocombustibili mirato alla sviluppo di attività di ricerca e sperimentazione per la produzione di biocombustibili ottenuti da biomasse agro-forestale e di biocarburanti di seconda generazione provenienti dalla conversione di biomasse lignocellulosiche di varia natura, ivi incluse quelle ottenute da specifiche colture energetiche.
In particolare, si prevede la realizzazione di sistemi integrati dimostrativi, sviluppo e promozione di processi e tecnologie innovative per incrementare la produzione di biocombustibili e biocarburanti in sostituzione degli analoghi prodotti di origine fossile. Saranno sviluppate attività di R&ST per la produzione e l’uso dei biocombustibili ottenuti a partire da biomasse agro-forestali e biocarburanti da materie prime agricole, quali etanolo, oli vegetali per la produzione di energia elettrica e biodiesel e biocarburanti di seconda generazione provenienti dalla conversione di biomasse lignocellulosiche di varia natura, incluse quelle ottenute da specifiche colture energetiche (etanolo, BTL ecc.), o da colture di microalghe (biodiesel, bioidrogeno).
Fonte ENEA
Concimi complessi
I concimi complessi contengono due o tre elementi nutritivi; vengono perciò chiamati, rispettivamente, concimi binari o ternari. Il titolo dei concimi complessi, per convenzione viene espresso indicando prima la % di N, poi di P ed infine di K; ad esempio il ternario 11-22-16 contiene: l' 11% di N,e il 22% di P205 ed il 16% di k2o.I concimi complessi presentano, rispetto alcuni concimi semplici, i seguenti vantaggi:
- minori costi di trasporto, di imballaggio, di immagazzinamento e di distriuzione;
- sono formulati appositamente e spesso anno rapporti di "formula" adeguati a specifiche coltivazioni, rendendo più facile la coltivazione;
- il fosforo ed il potassio in essi contenuti presentano maggiore solubilità, in relazione al legame con l' azoto, ch ene favorisce la solubilità. Inoltre si manifesta, spesso, anche un azione sinergica;ad esempio i sali di ammonio, combinati con concimi fosfatici, favoriscono l' assimilazione del fosforo;
- la forma,sempre granulare favorisce lo spandimento.
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Francesco Porcheddu,
Stefano Orrù
Le api
Che le api siano uno degli esseri viventi più utili all’uomo è cosa nota tanto quanto la laboriosità di questi affascinanti insetti. Di recente si è assistito ad una lenta diminuzione della popolazione di impollinatori – in gran parte api, appunto – ed è tornata di moda una nefasta previsione del premio Nobel Einstein secondo la quale, alla scomparsa delle api sul pianeta, alla specie umana non resterebbero che quattro anni di vita.
Il problema è noto da tempo agli studiosi e agli esperti del settore: tra questi ultimi i produttori di miele sono quelli che ne hanno subito le conseguenze economiche più importanti. A causa dei pesticidi e dello smog, come abbiamo già avuto modo di spiegare qui su Eco51, le api non sarebbero più in grado di distinguere gli odori dei fiori e, soprattutto, di orientarsi sui prati grazie alle percezioni olfattive: in tal modo, ogni giorno, alcune di loro non riescono più a tornare all’alveare e sono condannate a morire in poco tempo.
Nella costa occidentale degli Stati Uniti e in Messico, qualche anno fa, si è cercato di porre un freno alla diminuzione di insetti impollinatori importandone delle specie tropicali che, data l’abitudine a resistere a condizioni climatiche più sfavorevoli, avrebbero resistito meglio al surriscaldamento e all’inquinamento dell’aria. Tale previsione è risultata corretta benché le api messicane importate abbiano messo in luce sin da subito, oltre ad una ridotta capacità di produrre miele e per di più di qualità non eccelsa, una spiccata aggressività, tanto da meritarsi l’appellativo di abejas asesinas. La loro diffusione è stata piuttosto rapida e, incrociandosi naturalmente con le altre specie di api autoctone, quelle tropicali hanno finito col trasferire i loro caratteri non certo «produttivi» alle altre, rendendo le colonie di tali insetti non semplici da gestire.
Ma tornando alla profezia di Einstein e alla dipendenza dell’uomo dall’impollinazione degli insetti, uno studio congiunto franco-tedesco ha cercato di valutare dal punto di vista economico tale negativa possibilità.
Le api, dunque, secondo quanto documenta la rivista Science Daily, avrebbero un valore attorno al 9,5% degli introiti complessivi dei prodotti agricoli destinati agli umani in tutto il mondo: 153 miliardi di euro nel 2005, ad esempio. Si tratta di una cifra esorbitante che la FAO rende ancor più drammatica spiegando come tra le specie vegetali ad essere maggiormente colpite da una ipotetica scomparsa delle api ci sarebbero le tre tipologie di colture che più sfamano il mondo: frutta, verdura e semi oleosi commestibili. In uno scenario simile oltre ai paesi in via di sviluppo, che hanno una dipendenza diretta dall’andamento delle loro produzioni agricole, anche l’Europa, che è costretta in gran parte ad importare prodotti agricoli per soddisfare i propri bisogni alimentari, sarebbe fortemente danneggiata. Prodotti come il caffé o altri stimolanti vegetali dovrebbero avere una maggiore resistenza e non presentare grandi cali nelle loro coltivazioni: lo stesso dovrebbe valere per le piante di cereali e quelle di canna da zucchero, influenzate solo marginalmente dall’impollinazione degli insetti.
E’ proprio quest’ultimo dato che permette agli scienziati di ridimensionare le prospettive apocalittiche del grande fisico tedesco. Dal punto di vista strettamente economico, infatti, si è notato come le colture meno influenzate dall’attività impollinatrice delle api sono quelle che hanno un valore commerciale minore: ciò potrebbe indurre ad un aumento delle produzioni a costi relativamente contenuti per compensare le gravi perdite sugli altri fronti.
Tuttavia si tratta, spiegano i ricercatori, di uno studio prettamente teorico in cui non sono stati volutamente presi in considerazione gli innumerevoli fattori di variabilità che accompagnerebbero un così importante fenomeno come l’estinzione delle api. Salvo accadimenti imprevedibili e, in questo caso sì, apocalittici, infatti, è difficile ipotizzare una scomparsa totale e immediata di una specie: solitamente ciò avviene in maniera graduale ed anche le specie stesse attuano naturalmente delle strategie, anche di tipo riproduttivo, atte a contrastare una tendenza all’estinzione. Gli scienziati, inoltre, fanno notare come sarebbero certamente messe in atto svariate strategie di contrasto da parte dell’industria agricola e alimentare, si muterebbero le tecniche di coltivazione magari ricreando artificialmente delle macchine impollinatrici oppure, per quel che riguarda l’alimentazione, si potrebbero introdurre dei prodotti sostitutivi a base di quelle colture non influenzate dall’attività degli insetti.
Lo studio sembra aver ridimensionato la previsione di Einstein, ma Science Daily propone una considerazione molto poco rassicurante: lo studio franco-tedesco sembra avere del tutto ignorato l’influenza delle api sull’approvvigionamento dei semi e sulle colture a foraggio che, neanche troppo indirettamente, hanno un effetto diretto sull’alimentazione umana.
Il problema è noto da tempo agli studiosi e agli esperti del settore: tra questi ultimi i produttori di miele sono quelli che ne hanno subito le conseguenze economiche più importanti. A causa dei pesticidi e dello smog, come abbiamo già avuto modo di spiegare qui su Eco51, le api non sarebbero più in grado di distinguere gli odori dei fiori e, soprattutto, di orientarsi sui prati grazie alle percezioni olfattive: in tal modo, ogni giorno, alcune di loro non riescono più a tornare all’alveare e sono condannate a morire in poco tempo.
Nella costa occidentale degli Stati Uniti e in Messico, qualche anno fa, si è cercato di porre un freno alla diminuzione di insetti impollinatori importandone delle specie tropicali che, data l’abitudine a resistere a condizioni climatiche più sfavorevoli, avrebbero resistito meglio al surriscaldamento e all’inquinamento dell’aria. Tale previsione è risultata corretta benché le api messicane importate abbiano messo in luce sin da subito, oltre ad una ridotta capacità di produrre miele e per di più di qualità non eccelsa, una spiccata aggressività, tanto da meritarsi l’appellativo di abejas asesinas. La loro diffusione è stata piuttosto rapida e, incrociandosi naturalmente con le altre specie di api autoctone, quelle tropicali hanno finito col trasferire i loro caratteri non certo «produttivi» alle altre, rendendo le colonie di tali insetti non semplici da gestire.
Ma tornando alla profezia di Einstein e alla dipendenza dell’uomo dall’impollinazione degli insetti, uno studio congiunto franco-tedesco ha cercato di valutare dal punto di vista economico tale negativa possibilità.
Le api, dunque, secondo quanto documenta la rivista Science Daily, avrebbero un valore attorno al 9,5% degli introiti complessivi dei prodotti agricoli destinati agli umani in tutto il mondo: 153 miliardi di euro nel 2005, ad esempio. Si tratta di una cifra esorbitante che la FAO rende ancor più drammatica spiegando come tra le specie vegetali ad essere maggiormente colpite da una ipotetica scomparsa delle api ci sarebbero le tre tipologie di colture che più sfamano il mondo: frutta, verdura e semi oleosi commestibili. In uno scenario simile oltre ai paesi in via di sviluppo, che hanno una dipendenza diretta dall’andamento delle loro produzioni agricole, anche l’Europa, che è costretta in gran parte ad importare prodotti agricoli per soddisfare i propri bisogni alimentari, sarebbe fortemente danneggiata. Prodotti come il caffé o altri stimolanti vegetali dovrebbero avere una maggiore resistenza e non presentare grandi cali nelle loro coltivazioni: lo stesso dovrebbe valere per le piante di cereali e quelle di canna da zucchero, influenzate solo marginalmente dall’impollinazione degli insetti.
E’ proprio quest’ultimo dato che permette agli scienziati di ridimensionare le prospettive apocalittiche del grande fisico tedesco. Dal punto di vista strettamente economico, infatti, si è notato come le colture meno influenzate dall’attività impollinatrice delle api sono quelle che hanno un valore commerciale minore: ciò potrebbe indurre ad un aumento delle produzioni a costi relativamente contenuti per compensare le gravi perdite sugli altri fronti.
Tuttavia si tratta, spiegano i ricercatori, di uno studio prettamente teorico in cui non sono stati volutamente presi in considerazione gli innumerevoli fattori di variabilità che accompagnerebbero un così importante fenomeno come l’estinzione delle api. Salvo accadimenti imprevedibili e, in questo caso sì, apocalittici, infatti, è difficile ipotizzare una scomparsa totale e immediata di una specie: solitamente ciò avviene in maniera graduale ed anche le specie stesse attuano naturalmente delle strategie, anche di tipo riproduttivo, atte a contrastare una tendenza all’estinzione. Gli scienziati, inoltre, fanno notare come sarebbero certamente messe in atto svariate strategie di contrasto da parte dell’industria agricola e alimentare, si muterebbero le tecniche di coltivazione magari ricreando artificialmente delle macchine impollinatrici oppure, per quel che riguarda l’alimentazione, si potrebbero introdurre dei prodotti sostitutivi a base di quelle colture non influenzate dall’attività degli insetti.
Lo studio sembra aver ridimensionato la previsione di Einstein, ma Science Daily propone una considerazione molto poco rassicurante: lo studio franco-tedesco sembra avere del tutto ignorato l’influenza delle api sull’approvvigionamento dei semi e sulle colture a foraggio che, neanche troppo indirettamente, hanno un effetto diretto sull’alimentazione umana.
La raccolta differenziata
La raccolta differenziata è il modo migliore per preservare e mantenere le risorse naturali, a vantaggio nostro e delle generazioni future: riusare e riutilizzare i rifiuti, dalla carta alla plastica, contribuisce a restituirci e conservare un ambiente "naturalmente" più ricco.Infatti, ogni nostra azione produce inquinamento, anche la più comune, come per esempio leggere un giornale o bere un'aranciata, non sarebbe nulla, se non considerassimo che ogni giorno nel mondo vengono stampate milioni di pagine, costruite milioni di bottiglie in plastica o lattine in alluminio, assemblati milioni di oggetti e mobilio per le nostre case.Tradotto in altre parole, milioni di alberi abbattuti, milioni di litri di petrolio consumati, milioni di kg di CO2 immessi nell'atmosfera: con la raccolta differenziata, invece, tutte queste risorse vengono risparmiate.Alcuni esempi
ognuno di noi produce circa 30 kg di plastica ogni anno: se questa plastica fosse completamente riciclata, in un comune di 100.000 abitanti si risparmierebbero 10.000 tonnellate di petrolio e carbone per produrre 1 kg di alluminio, occorrono 15 kwh di energia elettrica; per produrre un kg di alluminio riciclato, servono invece 0,8 kwh: in Italia, ogni anno, vengono consumate 1 miliardo e 500 mila lattine per produrre una tonnellata di carta vergine occorrono 15 alberi, 440.000 litri d'acqua e 7.600 kwh di energia elettrica: per produrre una tonnellata di carta riciclata bastano invece 1.800 litri d'acqua e 2.700 kwh di energia elettrica se non differenziati, i farmaci in discarica possono dar luogo ad emanazioni tossiche ed inquinare il percolato; inoltre, la presenza di antibiotici nei rifiuti può favorire la selezione di ceppi batterici resistenti agli stessi antibiotici il riciclo del vetro permette un risparmio annuo, in Italia, pari a 400.000 tonnellate di petrolio i pneumatici, una volta terminato il loro ciclo, possono essere reimmessi in ciclo per gli utilizzi più svariati: è importante, poichè in Italia ne vengono scartati ogni anno 500.000 tonnellate, per un volume di oltre 3 milioni di metri cubi, l'equivalente di più di 6 stadi di San Siro colmi fino all'orlo da 100 kg di olio usato se ne ottengono 68 di olio nuovo: 1 solo kg di olio usato disperso nell'ambiente inquina 1.000 metri cubi d'acqua.
Adesso, provate a fare due calcoli con gli oggetti che vi circondano!
ognuno di noi produce circa 30 kg di plastica ogni anno: se questa plastica fosse completamente riciclata, in un comune di 100.000 abitanti si risparmierebbero 10.000 tonnellate di petrolio e carbone per produrre 1 kg di alluminio, occorrono 15 kwh di energia elettrica; per produrre un kg di alluminio riciclato, servono invece 0,8 kwh: in Italia, ogni anno, vengono consumate 1 miliardo e 500 mila lattine per produrre una tonnellata di carta vergine occorrono 15 alberi, 440.000 litri d'acqua e 7.600 kwh di energia elettrica: per produrre una tonnellata di carta riciclata bastano invece 1.800 litri d'acqua e 2.700 kwh di energia elettrica se non differenziati, i farmaci in discarica possono dar luogo ad emanazioni tossiche ed inquinare il percolato; inoltre, la presenza di antibiotici nei rifiuti può favorire la selezione di ceppi batterici resistenti agli stessi antibiotici il riciclo del vetro permette un risparmio annuo, in Italia, pari a 400.000 tonnellate di petrolio i pneumatici, una volta terminato il loro ciclo, possono essere reimmessi in ciclo per gli utilizzi più svariati: è importante, poichè in Italia ne vengono scartati ogni anno 500.000 tonnellate, per un volume di oltre 3 milioni di metri cubi, l'equivalente di più di 6 stadi di San Siro colmi fino all'orlo da 100 kg di olio usato se ne ottengono 68 di olio nuovo: 1 solo kg di olio usato disperso nell'ambiente inquina 1.000 metri cubi d'acqua.
Adesso, provate a fare due calcoli con gli oggetti che vi circondano!
Concimi Innovativi
Negli ultimi anni sono stati prodotti nuovi concimi che si caratterizzano per essere più attivi, più facili da utilizzate e che risolvono problemi particolari di concimazione; tutti questi concimi si riconducono a cinque categorie:
- concimi fluidi: sono concimi che si presentano in forma fluida; si caratterizano per la maggior prontezza di effetto e per la facilità di utilizzazione con la tecnica della fertirrigazione;
- concimi fogliari: sono concimi che vengono distribuiti direttamente sull' apparato aereo delle piante e sono assorbiti dalle foglie; la loro utilizzazione consente di risolvere, con immediatezza e facilità, situazioni di carenze improvvise di elementi nutritivi, specialmente di microelementi;
- concimi a cessione graduale o controllata: sono concimi la cui formulazione consente di "cedere" con gradualità il principio concimante.Hanno pregio di diminuire le perdite per il dilavamento dell' azoto e, mantenendosi nel tempo,consentono di evitare ripetitive e frazionate distribuzioni di azoto, riducendo i costi di concimazione;
- fertilizzanti in grado di mobilizzare le riserve sfosfatiche del terreno: sono ancora in una fase sperimentale;
- concimi organo-minerali: sono concimi ottenuti per reazione chimica tra sostanza organica e sostanze minerali, creando complessi organo-minerali, che limitano la funzione del complesso naturale argillo-umico
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