Che le api siano uno degli esseri viventi più utili all’uomo è cosa nota tanto quanto la laboriosità di questi affascinanti insetti. Di recente si è assistito ad una lenta diminuzione della popolazione di impollinatori – in gran parte api, appunto – ed è tornata di moda una nefasta previsione del premio Nobel Einstein secondo la quale, alla scomparsa delle api sul pianeta, alla specie umana non resterebbero che quattro anni di vita.
Il problema è noto da tempo agli studiosi e agli esperti del settore: tra questi ultimi i produttori di miele sono quelli che ne hanno subito le conseguenze economiche più importanti. A causa dei pesticidi e dello smog, come abbiamo già avuto modo di spiegare qui su Eco51, le api non sarebbero più in grado di distinguere gli odori dei fiori e, soprattutto, di orientarsi sui prati grazie alle percezioni olfattive: in tal modo, ogni giorno, alcune di loro non riescono più a tornare all’alveare e sono condannate a morire in poco tempo.
Nella costa occidentale degli Stati Uniti e in Messico, qualche anno fa, si è cercato di porre un freno alla diminuzione di insetti impollinatori importandone delle specie tropicali che, data l’abitudine a resistere a condizioni climatiche più sfavorevoli, avrebbero resistito meglio al surriscaldamento e all’inquinamento dell’aria. Tale previsione è risultata corretta benché le api messicane importate abbiano messo in luce sin da subito, oltre ad una ridotta capacità di produrre miele e per di più di qualità non eccelsa, una spiccata aggressività, tanto da meritarsi l’appellativo di abejas asesinas. La loro diffusione è stata piuttosto rapida e, incrociandosi naturalmente con le altre specie di api autoctone, quelle tropicali hanno finito col trasferire i loro caratteri non certo «produttivi» alle altre, rendendo le colonie di tali insetti non semplici da gestire.
Ma tornando alla profezia di Einstein e alla dipendenza dell’uomo dall’impollinazione degli insetti, uno studio congiunto franco-tedesco ha cercato di valutare dal punto di vista economico tale negativa possibilità.
Le api, dunque, secondo quanto documenta la rivista Science Daily, avrebbero un valore attorno al 9,5% degli introiti complessivi dei prodotti agricoli destinati agli umani in tutto il mondo: 153 miliardi di euro nel 2005, ad esempio. Si tratta di una cifra esorbitante che la FAO rende ancor più drammatica spiegando come tra le specie vegetali ad essere maggiormente colpite da una ipotetica scomparsa delle api ci sarebbero le tre tipologie di colture che più sfamano il mondo: frutta, verdura e semi oleosi commestibili. In uno scenario simile oltre ai paesi in via di sviluppo, che hanno una dipendenza diretta dall’andamento delle loro produzioni agricole, anche l’Europa, che è costretta in gran parte ad importare prodotti agricoli per soddisfare i propri bisogni alimentari, sarebbe fortemente danneggiata. Prodotti come il caffé o altri stimolanti vegetali dovrebbero avere una maggiore resistenza e non presentare grandi cali nelle loro coltivazioni: lo stesso dovrebbe valere per le piante di cereali e quelle di canna da zucchero, influenzate solo marginalmente dall’impollinazione degli insetti.
E’ proprio quest’ultimo dato che permette agli scienziati di ridimensionare le prospettive apocalittiche del grande fisico tedesco. Dal punto di vista strettamente economico, infatti, si è notato come le colture meno influenzate dall’attività impollinatrice delle api sono quelle che hanno un valore commerciale minore: ciò potrebbe indurre ad un aumento delle produzioni a costi relativamente contenuti per compensare le gravi perdite sugli altri fronti.
Tuttavia si tratta, spiegano i ricercatori, di uno studio prettamente teorico in cui non sono stati volutamente presi in considerazione gli innumerevoli fattori di variabilità che accompagnerebbero un così importante fenomeno come l’estinzione delle api. Salvo accadimenti imprevedibili e, in questo caso sì, apocalittici, infatti, è difficile ipotizzare una scomparsa totale e immediata di una specie: solitamente ciò avviene in maniera graduale ed anche le specie stesse attuano naturalmente delle strategie, anche di tipo riproduttivo, atte a contrastare una tendenza all’estinzione. Gli scienziati, inoltre, fanno notare come sarebbero certamente messe in atto svariate strategie di contrasto da parte dell’industria agricola e alimentare, si muterebbero le tecniche di coltivazione magari ricreando artificialmente delle macchine impollinatrici oppure, per quel che riguarda l’alimentazione, si potrebbero introdurre dei prodotti sostitutivi a base di quelle colture non influenzate dall’attività degli insetti.
Lo studio sembra aver ridimensionato la previsione di Einstein, ma Science Daily propone una considerazione molto poco rassicurante: lo studio franco-tedesco sembra avere del tutto ignorato l’influenza delle api sull’approvvigionamento dei semi e sulle colture a foraggio che, neanche troppo indirettamente, hanno un effetto diretto sull’alimentazione umana.
Il problema è noto da tempo agli studiosi e agli esperti del settore: tra questi ultimi i produttori di miele sono quelli che ne hanno subito le conseguenze economiche più importanti. A causa dei pesticidi e dello smog, come abbiamo già avuto modo di spiegare qui su Eco51, le api non sarebbero più in grado di distinguere gli odori dei fiori e, soprattutto, di orientarsi sui prati grazie alle percezioni olfattive: in tal modo, ogni giorno, alcune di loro non riescono più a tornare all’alveare e sono condannate a morire in poco tempo.
Nella costa occidentale degli Stati Uniti e in Messico, qualche anno fa, si è cercato di porre un freno alla diminuzione di insetti impollinatori importandone delle specie tropicali che, data l’abitudine a resistere a condizioni climatiche più sfavorevoli, avrebbero resistito meglio al surriscaldamento e all’inquinamento dell’aria. Tale previsione è risultata corretta benché le api messicane importate abbiano messo in luce sin da subito, oltre ad una ridotta capacità di produrre miele e per di più di qualità non eccelsa, una spiccata aggressività, tanto da meritarsi l’appellativo di abejas asesinas. La loro diffusione è stata piuttosto rapida e, incrociandosi naturalmente con le altre specie di api autoctone, quelle tropicali hanno finito col trasferire i loro caratteri non certo «produttivi» alle altre, rendendo le colonie di tali insetti non semplici da gestire.
Ma tornando alla profezia di Einstein e alla dipendenza dell’uomo dall’impollinazione degli insetti, uno studio congiunto franco-tedesco ha cercato di valutare dal punto di vista economico tale negativa possibilità.
Le api, dunque, secondo quanto documenta la rivista Science Daily, avrebbero un valore attorno al 9,5% degli introiti complessivi dei prodotti agricoli destinati agli umani in tutto il mondo: 153 miliardi di euro nel 2005, ad esempio. Si tratta di una cifra esorbitante che la FAO rende ancor più drammatica spiegando come tra le specie vegetali ad essere maggiormente colpite da una ipotetica scomparsa delle api ci sarebbero le tre tipologie di colture che più sfamano il mondo: frutta, verdura e semi oleosi commestibili. In uno scenario simile oltre ai paesi in via di sviluppo, che hanno una dipendenza diretta dall’andamento delle loro produzioni agricole, anche l’Europa, che è costretta in gran parte ad importare prodotti agricoli per soddisfare i propri bisogni alimentari, sarebbe fortemente danneggiata. Prodotti come il caffé o altri stimolanti vegetali dovrebbero avere una maggiore resistenza e non presentare grandi cali nelle loro coltivazioni: lo stesso dovrebbe valere per le piante di cereali e quelle di canna da zucchero, influenzate solo marginalmente dall’impollinazione degli insetti.
E’ proprio quest’ultimo dato che permette agli scienziati di ridimensionare le prospettive apocalittiche del grande fisico tedesco. Dal punto di vista strettamente economico, infatti, si è notato come le colture meno influenzate dall’attività impollinatrice delle api sono quelle che hanno un valore commerciale minore: ciò potrebbe indurre ad un aumento delle produzioni a costi relativamente contenuti per compensare le gravi perdite sugli altri fronti.
Tuttavia si tratta, spiegano i ricercatori, di uno studio prettamente teorico in cui non sono stati volutamente presi in considerazione gli innumerevoli fattori di variabilità che accompagnerebbero un così importante fenomeno come l’estinzione delle api. Salvo accadimenti imprevedibili e, in questo caso sì, apocalittici, infatti, è difficile ipotizzare una scomparsa totale e immediata di una specie: solitamente ciò avviene in maniera graduale ed anche le specie stesse attuano naturalmente delle strategie, anche di tipo riproduttivo, atte a contrastare una tendenza all’estinzione. Gli scienziati, inoltre, fanno notare come sarebbero certamente messe in atto svariate strategie di contrasto da parte dell’industria agricola e alimentare, si muterebbero le tecniche di coltivazione magari ricreando artificialmente delle macchine impollinatrici oppure, per quel che riguarda l’alimentazione, si potrebbero introdurre dei prodotti sostitutivi a base di quelle colture non influenzate dall’attività degli insetti.
Lo studio sembra aver ridimensionato la previsione di Einstein, ma Science Daily propone una considerazione molto poco rassicurante: lo studio franco-tedesco sembra avere del tutto ignorato l’influenza delle api sull’approvvigionamento dei semi e sulle colture a foraggio che, neanche troppo indirettamente, hanno un effetto diretto sull’alimentazione umana.