Questo metodo consiste nell'introduzione di uno o più nemici naturali del fitofago che si vuole combattere, importandoli dall'areale d'origine del fitofago. L'obiettivo del metodo propagativo è quello di far acclimatare nel nuovo ambiente gli organismi ausiliari introdotti e riprodurre in questo modo le condizioni che nell'areale di origine consentono una regolazione naturale della dinamica della popolazione del fitofago. Un esempio pratico del metodo propagativo è quello che ha permesso il controllo biologico dell'Icerya purchasi con la Rodolia cardinalis. Il metodo propagativo è quello più efficace in una prospettiva di lungo termine, perché risolve definitivamente il problema di un fitofago grazie alla sua intrinseca capacità di mantenersi autonomamente, tuttavia il successo del metodo propagativo è subordinato all'esistenza di condizioni che ne permettano l'applicazione. Per questa ragione, nell'arco di un secolo di tentativi di applicazione, i successi realizzati integralmente con il metodo propagativo si riducono a poche decine di casi. Il metodo propagativo si può applicare con due differenti approcci: Introduzione di una sola specie antagonista. Introduzione di più specie antagoniste. Le due strategie non sono equamente condivise dagli studiosi. Ad esempio, Berlese riteneva che l'introduzione di più ausiliari fosse dannosa perché l'occupazione della stessa nicchia ecologica era causa di una competizione interspecifica che riduceva l'efficacia dell'entomofago più attivo; sul fronte opposto, Silvestri era un fautore dell'introduzione del maggior numero possibile di nemici naturali provenienti da diverse regioni. Le esperienze maturate hanno messo in rilievo una maggiore efficacia del secondo approccio rispetto al primo: difficilmente si riesce a controllare un fitofago introducendo una sola specie antagonista, mentre le prospettive di successo aumentano con l'introduzione di più specie, soprattutto quando queste sono in grado di adattarsi a nicchie ecologiche e/o a microambienti differenti. In genere anche nei casi di effettiva competizione fra gli ausiliari, difficilmente si ha una perdita di efficacia del controllo biologico.